Di pochi giorni fa la classifica sulla libertà di stampa in Italia, secondo Il Fatto Quotidiano siamo al 73° posto alla pari di Moldavia e Nicaragua.

La Rete L’ABUSO si occupa sul territorio nazionale di pedofilia clericale ed è proprio su questo che vorremmo fare una valutazione per capire davvero se quanto viene detto dalla stampa è vero e se si fino a che punto.

DICONO I GIORNALI

Secondo i giornali Papa Francesco è stato rivoluzionario nella lotta alla pedofilia, tra i casi più clamorosi quello di Jozef Wesolowski, il nunzio apostolico polacco che papa Francesco ha fatto “arrestare” in Vaticano e ridotto allo stato laicale, o il caso di don Mauro Inzoli “don mercedes”anche lui condannato dal Vaticano e “esiliato” ad una vita di ritiro e di preghiera, poi ci sono i casi come quello del parroco di Napoli don Silverio Mura per il quale papa Francesco ha chiesto un supplemento di indagine, il caso di don Marino Genova, il parroco di Portocannone (CB) momentaneamente sospeso a divinis.

Stando quindi a ciò che i giornali ci raccontano, sembrerebbe che non solo i provvedimenti del pontefice siano efficaci, ma anche che la commissione antipedofilia creata da lui sia davvero efficiente. Ma noi abbiamo voluto fare gli avvocati del diavolo e così siamo andati a vedere un po’ più a fondo sia la materia del codice canonico, sia lo stato effettivo di questi casi.

IL CODICE CANONICO

Per quello che riguarda i provvedimenti canonici in effetti troviamo si una vasta applicazione ma non possiamo non notare anche una infinità di limiti.

Va detto intanto che la massima pena che un provvedimento canonico può infliggere ad un prete pedofilo è la riduzione allo stato laicale, ovvero non essere più un prete. Notiamo anche una serie infinita di carenze nel codice canonico, rispetto alla legge civile. Per esempio, la mancanza di un risarcimento per la vittima, l’assenza dell’obbligo di denuncia all’autorità civile del pedofilo, nessun arresto o provvedimento che obblighi il pedofilo ad una terapia di recupero, al massimo l’obbligo di seguire una “terapia” basata su  esercizi spirituali, cosa che di fronte ad una grave devianza come la pedofilia, lascia davvero il tempo che trova.

I FATTI NEL CONCRETO

Proviamo quindi a vedere nei fatti cosa è accaduto nei casi che abbiamo citato prima.

Monsignor Jozef Wesolowski, arrestato in Vaticano il 23 settembre 2014 per ordine di papa Francesco, il 28 novembre era già libero di girare indisturbato. Il suo arresto, di fatto è stato una fortuna per Wesolowski perché non solo lo ha sottratto alla giustizia dei paesi dove aveva commesso i crimini e “costretto” ad un lussuosissimo soggiorno nelle stanze Vaticane, ma gli ha anche garantito l’immunità, infatti, alla richiesta di estradizione da parte dei paesi dove Wesolowski aveva commesso i crimini, il Vaticano risponde con un secco no. Nella sostanza quindi, il nunzio Wesolowski per ora ha subito solamente la riduzione allo stato laicale, alla quale però ha chiesto di fare ricorso e tuttavia non credo importi molto se Wesolowski è prete o no, le accuse contro l’alto prelato non erano di dire male la messa, ma di violenza sessuale sui minori, quindi per quello che ci riguarda può tranquillamente continuare a dire messa.

Don Mauro Inzoli, accusato di vari reati tra cui la violenza sessuale su minori (canone 1720), ridotto allo stato laicale dal Vaticano, condannato ad una vita di ritiro e preghiera. Ma anche per don Inzoli, il ritiro e la preghiera durano poco più di un batter d’occhio infatti, il 20 gennaio 2015 viene sorpreso al convegno sulla famiglia e sarà proprio in quella occasione che smentirà quanto dichiarato dalla chiesa, “sono libero di andare dove voglio”. Ma il caso di don Mauro Inzoli smentirà poco tempo dopo anche le dichiarazioni del Vaticano il quale aveva assicurato piena collaborazione con la giustizia civile. E’ infatti a seguito di due esposti fatti alla procura di Crema, uno dalla Rete L’ABUSO e  l’altro dall’Onorevole Franco Bordo, che il procuratore, Roberto di Martino, il 18 ottobre 2014 chiede attraverso una rogatoria al Vaticano l’acquisizione della documentazione che ha portato alla condanna canonica il potente prelato. Come da consolidata consuetudine però, al di la delle rassicuranti dichiarazioni del Vaticano, il 3 marzo 2015 il Vaticano nega i documenti alla procura di Crema garantendo così l’impunità a don Mauro Inzoli che resta tutt’ora libero.

Don Silverio Mura, il cui caso è stato portato all’attenzione dell’opinione pubblica dalla Rete L’ABUSO nel luglio 2013 e recentemente anche dalla trasmissione Chi l’ha visto, è l’unico caso in Italia, almeno al momento, nel quale il Vaticano risponde alla vittima, un uomo di Napoli ormai 40enne. L’uomo che chiamiamo con un nome di fantasia Diego, si era prima rivolto alla diocesi, la quale aveva nascosto altrove il prete. Diego aveva successivamente sporto denuncia all’autorità civile, la quale però non era intervenuta in quanto il reato era prescritto. Diego allora, si rivolge alla Rete L’ABUSO la quale, grazie anche all’aiuto sul posto dell’avvocato Sergio Cavaliere, che collabora con la Onlus, nel giro di qualche giorno riescono a rintracciare il sacerdote. Era stato spostato dalla diocesi pochi chilometri distante da dove aveva abusato di Diego, la cosa paradossale è che continuava a lavorare con i bambini nelle scuole, insegnava religione, proprio come quando aveva adescato Diego. Poche settimane dopo però, don Silverio Mura viene nuovamente spostato e sparisce definitivamente. Diego allora scrive a papa Francesco, il quale risponde.  Oggi sappiamo che è in corso un’indagine canonica nei confronti di don Silverio Mura, un processo che se ci sarà è bene ricordare potrà avere come massima pena la riduzione allo stato laicale del sacerdote. Nei fatti don Silverio Mura se sarà ridotto allo stato laicale, resterà comunque libero, la vittima che negli anni ha dovuto sostenere costose sedute terapeutiche per superare i traumi successivi agli abusi subiti, non sarà in alcun modo risarcita dalla chiesa per il danno subito da quel prete che la stessa diocesi, malgrado le segnalazioni, ha sempre reiteratamente nascosto.

Don Marino Genova, è un caso di cui ci stiamo occupando, anche questo seguito sotto l’aspetto legale dall’avvocato Sergio Cavaliere. La storia si svolge sempre al sud, questa volta a Portocannone, un piccolo paesino della diocesi di Termoli. La vittima, Giada Vitale, abusata dai 13 ai 16 anni, anche lei si è rivolta al papa, è riuscita a consegnare proprio nelle sue mani una lettera. Ma a lei papa Francesco non ha mai risposto. Nel caso di Giada probabilmente ci sarà un risarcimento grazie al fatto che Giada oggi ha 19 anni, quindi non è prescritta e del suo caso quindi se ne occuperà la magistratura. La chiesa per il momento si è limitata a sospendere a divinis il sacerdote, che quindi per il momento è solo sospeso dal servizio, ma resta prete e senza alcuna restrizione, può muoversi tranquillamente. Si attende a breve la pronuncia della magistratura sul caso di don Marino Genova che sta seguendo per Rete L’ABUSO l’avvocato Sergio Cavaliere.

Alcuni altri casi nei quali al di là della condanna, cioè al fatto che la magistratura abbia accertato i reati, non sono stati presi provvedimenti dalla chiesa ai tempi della così detta “linea dura di Papa Francesco”, ne citiamo solo alcuni, i più noti.

Don Pietro Tosi, a denunciare il fatto, suo figlio Erik concepito durante lo stupro del prete nei confronti di una ragazzina di 13 anni, la mamma di Erik. Pietro Tosi non ha mai voluto riconoscere quel figlio malgrado l’esame del DNA non lasciasse dubbi sulla paternità. La famiglia di Erik aveva chiesto a Papa Francesco che quel prete (reo confesso) fosse ridotto allo stato laicale. Grazie alla segnalazione della Rete L’ABUSO si interessarono al caso anche Le Iene ma non bastò. Tosi morirà da prete nel 2014 lasciando l’amaro in bocca alla famiglia di Erik Zattoni.

Don Renato Giaccardi, ex parroco di Mondovì, che ha patteggiato l’accusa per prostituzione minorile, trasferito a Loano (SV), diocesi di Albenga. Il caso emerge nel giugno del 2014 e si scopre che il prete è lì già da circa 3 anni. Malgrado le lamentele dei cittadini la diocesi minimizza e difende il prete. Nessun provvedimento da parte del Vaticano.

Don Riccardo Seppia, da maggio sarà libero: e tornerà a fare il prete. Tornerà libero per la legge, ma dovrà recitare le lodi e coltivare l’orto, ospite di una «comunità di recupero e sostegno» per sacerdoti a Verbania. È il futuro di don Riccardo Seppia, ex parroco della chiesa dello Spirito Santo a Genova Sestri Ponente, condannato per abusi sessuali e droga con ragazzini. Il caso era deflagrato nel maggio 2011 e però nei giorni scorsi, nel silenzio generale, si è materializzato il passaggio giudiziario che in pochi prevedevano. La Cassazione, che a fine 2014 aveva in parte annullato la condanna a otto anni e mezzo inflitta sia in primo che secondo grado, ha depositato le motivazioni della sua decisione. Spiegando che la pena va ricalcolata tenuto conto di alcune variabili decisive.

Monsignor Dante Lafranconi, salvato nel 2012 dalla prescrizione. Il giudice Fiorenza Giorgi del Tribunale di Savona lo definì «Assolutamente omissivo», si legge nell’ordinanza, è da considerarsi prescritto, ma ciò non implica af­fatto [‘innocenza del vescovo di Cremona. Anzi, dal dispositivo emergono chiaramente due fatti: Lafranconi non poteva non sapere e ha protetto l’istituzione a scapito della tutela delle vittime. Malgrado il clamore della vicenda rimasta per mesi agli onori della cronaca, il Vaticano non ha mai preso alcun provvedimento nei confronti del vescovo Dante Lafranconi, malgrado le decine di vittime abbiano più volte scritto, anche a papa Francesco, chiedendo giustizia. Il sacerdote in questione è don Nello Giraudo nei confronti del quale la chiesa non prenderà mai provvedimenti, sarà il sacerdote a seguito dello scandalo a chiedere nel 2009 la dispensa allo stato clericale. Patteggerà nel 2012 l’accusa di violenza su una sola di quelle vittime, per le altre, a causa delle negligenze del vescovo Dante Lafranconi, era intervenuta la prescrizione.

La lista dei casi è ancora lunga, poco rassicurante l’atteggiamento della chiesa che nella maggioranza dei casi si è limitata a sospendere il sacerdote per poi trasferirlo poco dopo in una nuova parrocchia, lontano da dove erano stati commessi i crimini. La Rete L’ABUSO ha stilato un elenco di preti condannati in Italia in via definitiva dal 2000 a oggi. Quasi 150 solo in Italia in soli 15 anni, sembrano tanti ma in realtà sono solo una minima parte perché restano esclusi da quella lista tutti coloro nei confronti dei quali, causa l’intervento della prescrizione, l’autorità giudiziaria non ha mai indagato, tutti quelli ancora sottoposti ad indagine o in fase di giudizio e quelli trasferiti altrove e di cui si sono fatte perdere le tracce.

In nessuno dei casi emersi, non solo nel nostro paese, la chiesa non ha denunciato spontaneamente un solo caso all’autorità giudiziaria. Nessuna vittima, anche ai tempi di Papa Francesco è mai stata risarcita volontariamente dalla chiesa, tranne in quei casi dove il risarcimento è stato imposto dal tribunale.

Alla luce di quella che è la realtà è difficile dire che oggi, i provvedimenti di papa Francesco siano efficaci, si può dire solo che la chiesa ha cambiato le modalità per tutelare la propria istituzione ma non le vittime le quali vengono ancora viste dalla stessa chiesa come un problema da risolvere e non come persone da aiutare a seguito del danno subito. Difficilmente vedremo un successo nei provvedimenti di papa Francesco perché malgrado le buone intenzioni, in Italia i primi a non denunciare, neppure alla chiesa sono i vescovi, i quali continuano ad omettere le denunce.

L’unica via per risolvere seriamente il problema sarebbe che il papa obbligasse i vescovi a denunciare questi reati direttamente all’autorità giudiziaria, ma forse questa è una via troppo semplice ed efficace, forse la chiesa non è molto motivata nel voler risolvere il problema. La stessa linea dura annunciata da papa Francesco e tanto esaltata dalla stampa, basta rifletterci è totalmente insufficiente, per non dire una farsa. Il solo fatto che la massima condanna prevista dal codice canonico sia la sola riduzione dallo stato clericale del pedofilo e non la reclusione come prevede la legge civile, è indicativo della debolezza dei provvedimenti presi dalla chiesa. A tutto ciò si aggiunge il fatto che non è minimamente previsto un risarcimento per la vittima, la quale nella maggior parte dei casi non potrà mai accedere ad una terapia, spesso molto costosa, che gli permetta di superare questo trauma indelebile.

Io ci andrei davvero molto cauto prima di esaltare i grandi cambiamenti della chiesa in materia di pedofilia, a quanto pare dovuti solo al fatto che una certa stampa sta adottando una linea poco etica e parecchio disinformante.

Francesco Zanardi

Portavoce della Rete L’ABUSO

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