Tre fascicoli e decine di documenti che dimostrano nero su bianco quello che le autorità ecclesiastiche sapevano dei preti accusati di molestie al Provolo di Verona, questo è quanto è stato depositato pochi giorni fa presso la Procura della Repubblica di Verona e che tra pochi giorni sarà anche nella disponibilità dei due PM argentini che stanno indagando su don Nicola Corradi.
Tre denunce nelle quali si chiede all’Autorità Giudiziaria che vengano verificate ed eventualmente ravvisate una serie di ipotesi di reato tra cui le responsabilità omissive delle gerarchie ecclesiastiche che senza dubbio sapevano dal 2009 della pericolosità di quel prete.
Il primo precedente in Italia si creò nel 2012 a Savona quando il giudice per le indagini preliminari Fiorenza Giorgi ravvisò le pesanti responsabilità omissive di un vescovo, Dante Lafranconi il quale pur sapendo delle tendenze pedofile di uno dei suoi sacerdoti nulla fece per impedire che questi continuasse ad abusare di altri minori.
Il principio giuridico che in Italia incastrò il monsignore lo troviamo nel secondo comma dell’articolo 40 del codice penale che recita “non impedire un evento che sia ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Questo principio giuridico, anche se in una formula differente e ancora poco sviluppata, lo troviamo nell’articolo 108 del codice penale argentino che a quanto ci conferma anche l’avvocato Carlos Lombardi da un po’ di tempo la giurisprudenza argentina sta discutendo nelle varie forme di applicazione e che potrebbe costare caro ai responsabili giuridici del Provolo argentino e delle diocesi di Mendoza e La Plata.
Chissà se Bergoglio quando era arcivescovo di Buenos Aires fu anche lui informato sullo scandalo dell’Istituto Provolo di Verona e chissà se sapeva della pericolosità di don Corradi.
Ma diventato Papa fu informato, ben tre volte e non solo su don Corradi ma anche su almeno altri 14 preti accusati di abusi dagli ex allievi del Provolo, ma volle far finta di niente e oggi la Santa Sede sprofonda in un vergognoso e assordante silenzio tipico della chiesa che vive ancora di sole chiacchere e proclami a mezzo stampa ma si dimentica puntualmente il passo più importante, i fatti.
Il 9 maggio 2014 una delle testate di informazione più quotate d’Italia “TGcom 24 Mediaset” divulgò un video prodotto dalla Rete L’ABUSO che fu ripreso da tutte le testate nazionali italiane e da molte altre in tutto il mondo, indirizzato proprio a Papa Francesco.
In quel video recapitato alla Segreteria di Stato del Vaticano, 17 vittime tra cui anche alcuni ex allievi dell’Istituto Provolo di Verona ed un elenco di nomi tra cui quello di don Nicola Corradi.
Ma nessuno rispose mai a quelle vittime e così il 20 ottobre dello stesso anno l’Associazione Sordi Provolo di Verona inviò una lettera raccomandata al vescovo di Verona Giuseppe Zenti, alla Congregazione per la Dottrina della Fede e a Papa Francesco. In quella lettera nero su bianco ancora una volta il nome di Corradi e di altri 14 preti accusati di abusi, quattro di questi nascosti in Argentina.
La stessa lettera fu consegnata ancora una volta, il 28 ottobre 2015, questa volta direttamente nelle mani di Papa Francesco da una delle vittime del Provolo, Giuseppe C. (foto a destra).
Sentire oggi Papa Francesco dichiarare che “La chiesa piange per il dolore procurato dai sacerdoti” è oltraggioso, verso le vittime e verso tutti coloro che ancora si fidano della chiesa.
Il materiale allegato alle denunce e inviato alle tre autorità giudiziarie è tutto inedito e assume una grande importanza sotto l’aspetto investigativo perché permette agli inquirenti di ricostruire importanti passaggi di questo ennesimo scandalo.
E’ anche triste vedere che malgrado la pesantissima pronuncia che la Commissione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza fece nei confronti del Vaticano nel 2014, la chiesa continui a tutelare la sua immagine a qualunque costo fregandosene delle vittime e delle associazioni che le tutelano con le quali ha sempre rifiutato qualunque tipo di dialogo.
La gestione dei preti pedofili non può più rimanere nelle mani delle gerarchie ecclesiastiche e se Papa Francesco vuole davvero affrontare seriamente il problema ha un’unica via, quella di inserire per i vescovi l’obbligo della denuncia e affidare questi casi all’autorità giudiziaria dei paesi dove i crimini vengono commessi.
Francesco Zanardi
Presidente della Rete L’ABUSO Onlus
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