Mentre continuano i colpi di scena nel caso internazionale del prete italiano don Nicola Corradi, accusato di abusi dagli ex allievi dell’istituto Provolo di Verona, poi “rifugiato” in Argentina nell’omonimo istituto e dalla fine di novembre scorso agli arresti insieme ad altre quattro persone con l’accusa di aver abusato di una sessantina di alunni sordi, a Genova, nella diocesi diretta proprio dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, si scopre che c’è un altro “rifugiato” argentino.

Stiamo parlando di padre Carlos Buela, che, nel marzo del 1984, fondò la congregazione dell’I.V.E., Istituto del Verbo Incarnato, anch’egli accusato di abusi sessuali, in Argentina, da una ventina di seminaristi, ma, a differenza di don Nicola Corradi, “indagato” dal Vaticano, che lo ha sanzionato.

Padre Buela fu denunciato la prima volta nel 2005 da un seminarista, oggi 31enne, il quale lo accusava di “molestie subite dall’età di 12 anni, per le quali in quell’occasione la chiesa decise di non prendere alcun provvedimento. Nel 2009, però, a carico di Buela arrivarono altre denunce di violenza sessuale, circa una ventina e sempre da parte di seminaristi appartenenti all’Istituto del Verbo Incarnato della città di San Rafael (Mendoza, Argentina), che, dopo un’indagine, nel 2010 lo avrebbero costretto a rinunciare al suo incarico.

La sanzione inflitta a padre Buela per quella che verrà definita “cattiva condotta sessuale e manipolazione delle coscienze” sarà molto timida e generosa, se la caverà con la rimozione dall’Ufficio di Superiore Generale dell’IVE e sarà trasferito inizialmente nell’Abazia “La Pierre Qui Vere”, in Francia, dove sotto il controllo dell’Abate dovrà risiedere fino al nuovo ordine.

Successivamente, nel 2012, padre Buela sarà trasferito in un monastero spagnolo, quello di “San Isidro de Dueñas de Palencia”, per poi “sbarcare” nel 2015 a Genova presso l’Istituto Religioso Maschile dell’IVE in località Dinegro.

Tutto ciò accade proprio mentre in Argentina esplode il caso del veronese don Nicola Corradi e proprio quando le vittime che in precedenza avevano denunciato padre Buela all’Autorità Ecclesiastica che nel frattempo lo ha trasferito a Genova, decidono questa volta di denunciarlo tramite l’avvocato Carlos Lombardi – che assiste la Rete L’ABUSO in Argentina – anche alla giustizia civile; lui, però, non c’è più.

Come mai? Grazie ai trasferimenti troppo facili, resi possibili da accordi tra la Santa Sede e i vari paesi che troppo spesso hanno fini tutt’altro che religiosi, come testimonia un altro caso attuale e sempre argentino, quello di Kusaka KomiKo, una suora colpita da un mandato di cattura internazionale emesso pochi giorni fa, anche lei coinvolta nello scandalo dell’Istituto Provolo di Mendoza e anche lei, come Buela, don Corradi, padre Reverberi e tanti altri, trasferita in un altro paese e sottratta di fatto alla giustizia, per la rabbia delle vittime costrette ad assistere impotenti.

Anche quello di padre Carlos Buela è un caso esploso quando Bergoglio – oggi Papa Francesco – era arcivescovo di Buenos Aires. Allora, il papa era Benedetto XVI. Un caso che ancora una volta dimostra come la linea della chiesa non sia affatto cambiata e continui a lasciare le sue vittime senza giustizia.

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