Di Francesco Zanardi
Ritorno a parlare dell’articolo di Vatican Insider a firma di Andrea Tornielli a seguito di un così detto colpo basso della diocesi di Milano che, in data 26-3-18, ha diffuso tramite mailing-list privata (vedi allegato) – vendendolo come chiarificatore – l’articolo che di seguito riporterò rivedendolo in ogni passaggio con gli stralci delle prove documentali agli atti, le stesse sulle quali il vaticanista Andrea Tornielli, che sostiene di averli letti, basa la sua tesi ma che, ahimè, riportati per intero, danno un significato che, come vedrete, non è poco differente.
Anche se forse è superfluo ritengo opportuno ricordare, per completezza, che stiamo parlando di violenza sessuale: un evento traumatico, devastante, che spesso la stessa vittima rifiuta e che richiede una rielaborazione non indifferente perché possa essere affrontato.
Il fatto che chi ha subito un forte trauma non riesca ad esplicitare da subito, nel dettaglio, i particolari scabrosi ed imbarazzati è già la prova che il trauma c’è ed è importante (è un normale e sempre presente meccanismo di difesa e negazione). Sarebbe impossibile il contrario, ovvero se una persona, un ragazzino, fosse in grado di raccontare con lucidità e “serenità”, con una descrizione meticolosa, i particolari del proprio abuso subito, sarebbe verosimilmente falso perché non è compatibile con il trauma, con l’essere scioccato.
Essere riuscito a dire “quello che si può immaginare” e il giorno stesso dire a don Alberto che si è sentito toccato, abbracciato (ovvero oltre ad aver raccontato di aver dormito nello stesso letto matrimoniale, ha da subito esplicitato il contatto fisico), tutto questo in uno stato di shock come quello raccontato da tutti i testimoni, sia in aula che in precedenza alla polizia, a partire dagli insegnanti, genitori, don Alberto, la fidanzata ecc.. ovvero tutti quelli che lo hanno realmente visto il giorno successivo al presunto abuso, è il modo con cui tutti quelli che hanno realmente subito un abuso sessuale pesante gridano al mondo il loro trauma, è il massimo che ci si può aspettare, soprattutto nei primi giorni.
In questo caso peraltro ci sono delle aggravanti (che corrispondono anche inevitabilmente ad aumentare il trauma e la derivante difficoltà di esplicitarlo dettagliatamente): parliamo di un ragazzino di 15 anni, cattolico, che ha subito l’evento traumatico non da una persona qualunque, ma da colui che era la sua guida spirituale, nel suo mondo di ragazzino, una figura importante, di cui si fidava e a cui confidava la parte più intima di se.
Il presunto abuso è, tra le altre cose, di carattere omosessuale, per pregiudizio ancora più difficile da ammettere, soprattutto per chi ha un orientamento etero sessuale.
È oltremodo disonesto non tenere presente che proprio per la natura del trauma A. non avrebbe probabilmente denunciato per anni se non fosse stato per la caduta in stato di shock, che ha dato ai suoi familiari l’allarme, e costretto A. ad affrontare una situazione che, come leggeremo nella deposizione della sua neuropsichiatra e, come è normalità in tutti i casi simili, non era ancora “pronto” ad affrontare.
n.b. le parti in rosso tra i paragrafi dell’articolo sono le mie annotazioni e riflessioni
Abusi, il processo a don Galli: ecco ciò che dicono le carte
di Andrea Tornielli
Continua il processo penale che ha come imputato un giovane sacerdote milanese, don Mauro Galli, e con il passare delle settimane emerge il tentativo di coinvolgere nella vicenda l’attuale arcivescovo di Milano, attribuendogli responsabilità nella vicenda. Alcuni media e siti web infatti hanno affermato che monsignor Mario Delpini, all’epoca dei fatti vicario di zona, non si sarebbe comportato come previsto dalle norme canoniche* di fronte alle denunce di abusi sessuali. Vatican Insider ha letto il fascicolo con le testimonianze rese alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero da tutte le parti in causa.
*Norme canoniche relative all’INDAGINE PREVIA
Don Galli è stato accusato di violenza sessuale ai danni di un giovane che nel dicembre 2011, all’epoca dei fatti, aveva 15 anni. Il sacerdote è attualmente sospeso dall’attività sacerdotale ed è in corso, oltre al processo penale, anche quello canonico secondo le procedure previste.
Il fatto avviene nella notte tra il 19 e il 20 dicembre 2011 in una parrocchia di Rozzano. A. è un ragazzo emotivamente fragile e quella sera viene invitato da don Galli a dormire a casa sua, con il consenso dei genitori. Nè la vittima né i suoi genitori però si aspettano che il prete faccia dormire il ragazzo nel suo letto a due piazze. Il giorno successivo, a scuola, A. denuncia un malessere e tornato a casa racconta ai suoi di essere sconvolto per quanto accaduto nella notte precedente. Non racconta però di aver subito un abuso, una tentata violenza sessuale.
Quella stessa sera i genitori di A. chiamano don Alberto Rivolta, un sacerdote che conosce la famiglia e che ha un primo colloquio col ragazzo, il quale confermerà davanti al GIP di aver raccontato al prete «soltanto il preambolo e il dopo» di quanto accaduto. Successivamente lo zio del ragazzo contatta anche don Carlo Mantegazza, all’epoca parroco di Rozzano, per chiedere che don Galli venga subito allontanato. I familiari raccontano che A. è rimasto sconvolto per aver dormito insieme al giovane prete. Ecco un brano della testimonianza preliminare di don Mantegazza, resa il 7 ottobre 2014: «Lo stesso A. aveva raccontato loro (ai suoi genitori, ndr) che durante la notte non erano accaduti fatti di approcci sessuali e rapporti sessuali, ma che il solo fatto di aver dormito insieme lo aveva molto agitato e scompensato… I genitori e lo zio mi chiesero espressamente che don Mauro fosse allontanato dalla parrocchia per evitare ulteriori contatti con A.».
Ci sono alcune riflessioni da fare, la prima: la reazione della famiglia, alla quale è possibile che A. non sia riuscito a dichiarare nell’immediato il rapporto sessuale per i motivi che abbiamo citato in premessa, ma lo stato di shock del ragazzo, come successivamente leggeremo nelle testimonianze, era tale al punto di allarmare la famiglia che interviene proprio nel tentativo di comprendere meglio cosa fosse successo quella notte, perché era evidente che qualcosa fosse successo, qualcosa di così devastante che già la mattina successiva costringeva la scuola a dover chiamare i genitori perché andassero a prendere A., in evidente stato di shock, così evidente che la sera stessa i genitori di A. chiesero al parroco, don Mantegazza, l’allontanamento di don Mauro Galli dalla parrocchia.
A supporto della sua tesi il vaticanista Tornielli cita quanto dichiarato il 7 ottobre 2014 da don Carlo Mantegazza, ma non tiene in considerazione che quella dichiarazione, leggendo le carte, vacilla parecchio perché smentita dal diretto interessato, monsignor Delpini, che dichiarerà alla p.g. “don Carlo Mantegazza mi disse al telefono che A. aveva poi segnalato presunti abusi sessuali compiuti da don Mauro durante la notte”.
In uno dei tanti audio inediti, è lo stesso don Mantegazza che, parlando con la famiglia, ribadisce quanto accaduto nel dicembre 2011, confermando la dichiarazione fatta agli inquirenti da Delpini e smentendo la sua del 7 ottobre 2014, rivelando anche un altro passaggio importantissimo che chiarisce l’assoluta malafede della diocesi in questa vicenda, spiegando il perché la denuncia fatta nell’immediato alla chiesa milanese sia stata formalizzata all’autorità giudiziaria solo anni dopo.
Mantegazza nell’audio dirà “quando vi capita un’altra volta una famiglia che invece di denunciare viene a dirti, come avete fatto voi, è successa sta cosa”.
Come conferma anche la neuropsichiatra infantile Benedetta Olivari, che ha in cura il ragazzo e che il 22 ottobre 2014 davanti al Pubblico ministero dichiara: «No, A. non ha mai riferito un chiaro episodio di abusi sessuali nei suoi confronti… Quello che emergeva era una grande confusione rispetto a quello che ricordava esattamente o una sua rielaborazione o interpretazione di quanto ricordava. Diceva che era andato a dormire con il sacerdote e che si era svegliato urlando, non ricordava però il motivo per cui aveva urlato». Anche i tre migliori amici di A. nelle loro testimonianze confermano che il loro compagno non aveva parlato di abuso sessuale.
Questo passaggio è davvero forviante perché Tornielli estrapola da un contesto ben più ampio, della stessa risposta data agli inquirenti dalla psichiatra Benedetta Olivari, un solo passaggio che, letto così ahimè pare sostenere la tesi che A. non abbia affatto denunciato, ma se invece lo proponiamo integralmente dà una chiave di lettura parecchio differente.
Intanto emerge che l’affermazione della psichiatra è strettamente personale, si comprende la sua cautela e, in quanto medico, tiene conto di quello che ho scritto in premessa riguardo allo stato di shock della vittima, infatti: non solo afferma che A. in quel momento non era “pronto” – quindi lei non cerca di fare pressioni – ma dichiara che A. “non ha mai riferito un chiaro episodio di abusi sessuali nei suoi confronti”, cioè non esclude affatto che questo non ci sia stato, anzi accresce, sottolineando che “verso l’inizio del 2012 (ovvero poco dopo i presunti abusi) A. ha cominciato a raccontare spontaneamente ed inaspettatamente un evento che era successo qualche mese prima” facendo un esplicito riferimento a quella notte.
Come da manuale emerge l’ovvia confusione di A. e la difficoltà ad esternare – anche per via del peso che aveva la figura di don Mauro, suo padre spirituale – alternando la conseguente negazione dell’evento a tentativi di esternarlo.
La stessa dottoressa sottolinea – anche se A. non aveva ancora dichiarato a lei personalmente – che “quella frequentazione e quell’evento in particolare era già conosciuto perlomeno dai suoi genitori”, cioè smentisce il fatto che A. non avesse detto o cercato di esternare a nessuno e in nessun modo gli abusi, dichiara che non ha riferito a lei personalmente “un chiaro episodio di abusi sessuali” dichiarazione tra le altre cose ovvia e corretta perché, qualora la dottoressa avesse appreso direttamente da A. degli abusi, in quanto pubblico ufficiale, avrebbe avuto l’obbligo di denunciare.
Anche le deposizioni dei tre migliori amici di A. pur ammettendo che non vi è stata da parte sua una esplicita dichiarazione di abuso sessuale, non nascondono quanto era evidente, persino per degli adolescenti: ovvero il messaggio di A. riguardo a quella notte e la difficoltà ad ammetterlo esplicitamente era comprensibilmente legata allo stato di shock e alla vergogna di fare una simile ammissione.
Va sottolineato che nell’immediatezza del fatto l’«abuso» che emerge da parte del prete è innanzitutto quello di aver fatto dormire il ragazzo nel suo letto. E poi – racconta don Galli – di averlo abbracciato per evitare che cadesse dal letto. A., a sua volta, racconta di essersi svegliato urlando e di essere stato abbracciato dal sacerdote. Le testimonianze di don Galli e del ragazzo nella sostanza dunque coincidono. A. per diversi anni non offre ulteriori chiarimenti sui fatti di quella notte e non racconta ad alcuno di aver subito un abuso sessuale.
Qui rimando alle testimonianze dei tre amici e alla dichiarazione di Delpini già discussa prima, fatta alla p.g. e riferita al Natale 2011; “don Carlo Mantegazza mi disse al telefono che A. aveva poi segnalato presunti abusi sessuali compiuti da don Mauro durante la notte”.
Trovo davvero volutamente ignorante e offensivo sindacare sul fatto che A. (un 15enne in quel momento sotto shock) non avesse nell’immediatezza chiaramente espresso alla psichiatra i fatti o non li avesse confidati interamente agli amici e gridati ai quattro venti.
Qui si parla già chiaramente di abuso sessuale, e non è limitato al fatto che A. avesse semplicemente dormito con don Mauro. Come conferma persino l’allora fidanzatina di A., il giorno successivo all’evento il sospetto era cosi reale che persino una 15enne, con tutta l’inesperienza di quell’età, comprendeva chiaramente che il suo fidanzato era stato molto probabilmente vittima di un abuso sessuale, la situazione era così chiara da aver mandato tutti in allarme e aver preteso nell’immediato che don Mauro fosse allontanato dalla parrocchia.
È davvero scorretto giocare su questo punto: esisteva non solo un più che ragionevole dubbio, ma oltre alla deposizione di Delpini che Tornielli, chissà perché, non ha citato, anche in quella della fidanzatina di A. che Tornielli nuovamente, chissà perché, non cita, c’è chiaramente scritto che: la sera successiva al fatto “i genitori di A. avevano chiamato al telefono mia madre alla quale avevano raccontato l’abuso fatto da don Galli su A.”.
La conferma che A. avessero dormito nello stesso letto avvalorava la tesi e, non che l’aver dormito insieme fosse l’oggetto dell’abuso e del conseguente shock.
Che cosa avviene subito dopo? Quali decisioni vengono assunte nei confronti del giovane prete? Appena vengono a conoscenza dell’accaduto, così come è stato presentato loro dai protagonisti (ricordiamo che nessuno parla di atti sessuali o di tentato abuso sessuale), i superiori di don Galli affidano il giovane sacerdote a uno psicologo perché inizi un percorso che lo aiuti a comprendere la grave imprudenza compiuta dormendo nello stesso letto con un ragazzo il quale – a detta del sacerdote – appariva bisognoso di conforto e protezione. Don Mauro viene quindi trasferito da Rozzano a Legnano con provvedimento dell’1 marzo 2012 firmato ufficialmente dall’allora vicario generale della diocesi di Milano, monsignor Carlo Redaelli, anche se l’allontanamento effettivo era avvenuto ben prima.
Devo dire che sono davvero perplesso, riassumiamo fino a qui l’esposizione di Tornielli:
nessuno avrebbe per il momento denunciato un abuso sessuale;
nessuno avrebbe alcun sospetto di abuso sessuale;
l’unico “abuso” che emergerebbe consisterebbe unicamente nel fatto che il minore ha dormito con il prete;
il prete lo avrebbe soltanto abbracciato solo per evitare che cadesse dal letto…
ma allora perché don Mauro viene affidato ad uno psicologo? Perché ha dormito nel letto con un 15enne quando, peraltro, aveva almeno altri tre letti disponibili tra la stanza degli ospiti e il divano letto in sala?
Ma se dormire nel letto con un prete è un abuso, siccome in parrocchia si sapeva che quella notte A. avrebbe dormito da don Mauro, perché nessuno glielo ha impedito ?
Siamo seri, ma quanti preti in gita o in campeggio dormono con adolescenti? Non mi risulta che, tornati dal campeggio, finiscano sulla poltrona di uno psicologo. Se i fatti stanno come dice Tornielli, qui dallo psicologo ci deve andare chi ha mandato don Mauro, non lui.
Ma nulla, nel passaggio successivo, siccome non era successo nulla e non vi erano motivi neppure per avviare un indagine previa, oltre ad andare dallo psicologo don Galli viene affidato alla sorveglianza di due preti più anziani ? ? ?
Il vicario di zona, monsignor Mario Delpini (in quel momento non ancora vicario generale della diocesi di Milano), affida don Galli alla cura e alla sorveglianza di due preti più anziani chiedendo loro di accompagnarlo e di vigilare su di lui. Rimane coinvolto nella pastorale giovanile. In quel momento non c’è alcun sospetto di abuso sessuale: il giovane sacerdote ha commesso una grave imprudenza, va seguito, sorvegliato e soprattutto deve prendere coscienza dell’errore che ha compiuto. L’accompagnamento psicologico deve servire per fare emergere le sue fragilità. La prima decisione della Curia ambrosiana non risponde alle procedure codificate da attuare nel caso di un sospetto abuso, semplicemente perché la vittima non ha denunciato abusi sessuali.
Nel luglio 2012 Delpini viene scelto dal cardinale Angelo Scola come suo vicario generale. Nel settembre 2012 avviene un incontro tra la famiglia di A. e monsignor Delpini. Il colloquio viene segretamente registrato dai genitori del ragazzo e la trascrizione è agli atti del processo. Proprio su questa trascrizione si fonda il tentativo di addossare responsabilità all’attuale arcivescovo di Milano. Di fronte ai familiari del ragazzo – persone molto religiose e molto attive nella vita della loro parrocchia – i quali si rammaricano per il fatto che don Galli sia stato trasferito di parrocchia, ma non allontanato dalla pastorale giovanile, il vicario generale spiega come ha agito.
Afferma Delpini, nel dialogo con i genitori di A.: «Il tentativo che è stato fatto, è stato quello di metterlo (don Galli, ndr) nelle condizioni di essere vigilato e di essere seguito, quindi vuol dire affidamento ad un certo parroco, le informazioni su quello che è successo e quindi su quello che il parroco deve vigilare, insomma, per quanto è possibile. Il fatto che viva in un posto, e presti il ministero in un altro posto, il fatto che abbia questo accompagnamento psicologico evidentemente io penso che gli psicologi che l’hanno seguito sono professionisti, che possono aver dato delle risposte, posso anche risentire evidentemente il mio dovere, non è soltanto di accontentare voi, ma è di garantirmi… che non fosse nelle condizioni di replicare una leggerezza, un abuso, o una forma di comportamento certamente da condannare».
Un modo originale quello di mettere un prete, che pur sostenendo non abbia commesso alcunché, malgrado nessuno avesse sospetti minimi, sia finito tuttavia dallo psicologo e sia sorvegliato da due colleghi sacerdoti per oscuri motivi non comprensibili a noi comuni mortali, finisca ancora in mezzo a dei ragazzi per far sì che Depini abbia la garanzia “che non fosse nelle condizioni di replicare una leggerezza, un abuso, o una forma di comportamento certamente da condannare”, il buonsenso a me farebbe fare il contrario e a voi ?
Qui Delpini usa la parola «abuso», ma è evidente che si riferisce al fatto dell’aver invitato a dormire sullo stesso letto il ragazzo e di averlo abbracciato. L’abuso di cui parla il vescovo non equivale ad «abuso sessuale» semplicemente perché fino a quel momento né la vittima né altri hanno raccontato ai superiori di don Galli di presunti tentativi di violenza sessuale.
Delpini continua ribadendo ai genitori che l’atteggiamento di don Galli è «certamente da condannare, cioè non è che io non sto dicendo che non ha fatto niente o che ha fatto poco, sto dicendo che è una cosa sciocca e stupida, e dolorosa oltretutto, anche per la vittima». Ancora una volta, il quadro dei fatti ai quali fa riferimento il vescovo è quello dei primi racconti, delle prime testimonianze peraltro concordanti nei fatti, della vittima e del giovane prete. Dalla registrazione si evince bene che anche il padre di A. ammette che non ci sia stata violenza sessuale, parlando soltanto di «vari abbracci». Ma senza mai far riferimento a tentativi di stupro, a tentata violenza sessuale.
Doveroso !!! CHE COSA SIGNIFICA ABUSO SESSUALE SU MINORE?
La definizione legale di molestia su minore considera abuso ogni atto di una persona (adulto o altro minore) che con la forza, la coercizione o le minacce costringa un minore ad avere qualsiasi forma di contatto sessuale o di attività sessuale. L’abuso sessuale include rapporti sessuali e/o comportamenti che prevedono toccamenti sessuali del minore, molestie senza toccamento e utilizzo del minore a scopo sessuale. A volte può non esserci nessun contatto fisico e l’abuso può avvenire online, tramite chat e/o webcam.
«Non abbiamo detto a don Mauro “guarda che hai fatto una stupidata adesso ricominciamo da capo”– continua ancora Delpini – gli abbiamo detto: “hai fatto una stupidata che rivela qualcosa che non va” perché nessuno vuol dire, non è grave, però qualcosa che non va c’è nel personaggio…». Dopo l’approfondito colloquio con i familiari di A., Delpini aggiunge (un’altra citazione dalla trascrizione della registrazione effettuata): «Possiamo anche dire che ci sono delle cose da rettificare, perché evidentemente la decisione è stata presa con gli elementi che avevo al mese di gennaio, di quando è stato mandato via, e quindi… e anche con le garanzie che avevo dello psicologo e del padre spirituale: insomma di tutto quello che la Chiesa può mettere in atto. Per dire, non è che adesso uno, va be’, ha fatto una stupidata, lo cambiamo e le continua a fare… questo evidentemente… io sono allarmato di tutto quello che può succedere, perché non è che vivo sulla luna».
Delpini, dopo aver ricostruito bene il caso con i familiari di A., ammette che «i dati sono un po’ diversi da quelli che avevo quando ho deciso lo spostamento… adesso dobbiamo riprendere la questione e avere altre garanzie». E il mese successivo, il 31 ottobre 2012, don Mauro viene destinato alla Cappellania ospedaliera di S. Maria Annunciata in Niguarda, dunque lontano dal contatto con i minori. Passa qualche altro mese, e il 10 luglio 2013 viene inviato a Roma, ospite di istituto religioso abitato solo da persone adulte. Da allora non ha più ricoperto incarichi ecclesiali. Mentre nessuno ha ancora denunciato don Galli per presunti abusi e neanche segnalato presunti abusi all’autorità ecclesiastica, il sacerdote viene allontanato dal contatto con i minori e mandato a centinaia di chilometri di distanza da Milano.
Ma come? All’inizio di questo paragrafo Tornielli afferma che finalmente Delpini “dopo aver ricostruito bene il caso con i familiari di A., ammette che «i dati sono un po’ diversi da quelli che avevo quando ho deciso lo spostamento… adesso dobbiamo riprendere la questione e avere altre garanzie»” e poco più avanti ribadisce che “nessuno ha ancora denunciato don Galli per presunti abusi e neanche segnalato presunti abusi all’autorità ecclesiastica”.
Ma povero don Galli: perché allora lo hanno prima mandato dallo psicologo, poi affidato a due sacerdoti per essere sorvegliato, adesso lo mandano a Roma, così, ancora una volta senza motivo?
Stando alla ricostruzione di Tornielli, don Galli è indubbiamente vittima di mobbing da parte dei superiori !!!
La situazione cambia radicalmente l’anno successivo, a metà del 2014, quando A. racconta una nuova versione, penalmente rilevante, descrivendo nel dettaglio quanto ricorda essere accaduto nel dicembre di tre anni prima. Dirà infatti che nel letto a due piazze, quella notte, don Galli ha tentato di abusare di lui , cercando di penetrarlo. Nel luglio di quattro anni fa i legali della famiglia di A. presentano una formale denuncia contro il sacerdote. Il 21gennaio 2015, dopo i primi accertamenti in loco, viene aperta l’indagine previa con la conseguente trasmissione dei risultati alla Congregazione per la dottrina della fede presso la Santa Sede. Il dicastero vaticano, esaminate le carte, affida la questione al Tribunale ecclesiastico lombardo (organismo regionale indipendente dalla diocesi di Milano) per l’apertura della formale causa canonica penale. Il 18 maggio 2015 a don Galli viene notificato il provvedimento di sospensione in modo cautelativo dall’esercizio del ministero sacerdotale.
«Queste decisioni – affermava in un comunicato del dicembre 2017 la diocesi ambrosiana – mai hanno avuto l’intento di “coprire” il caso… Testimoniano invece con evidenza l’intento di operare con scrupolo e coscienza, nel rispetto di tutte le parti, nell’ossequio delle prescrizioni canoniche e delle leggi italiane, decidendo ogni volta con gli elementi e le informazioni disponibili in quel momento». «Non a caso – continua la nota della Curia milanese – la decisione di trasferire don Mauro da Rozzano, fu presa soprattutto in accoglimento delle sollecitazioni della famiglia del ragazzo nel 2013, quando questi non avevano ancora denunciato alcunché». È infatti emerso dalle testimonianze preliminari, confermate anche da quelle rese fino ad oggi durante il dibattimento, che la famiglia di A. ha appreso i fatti con maggiore contezza soltanto nel 2014 quando don Galli era già stato trasferito a Roma da un anno.
Proprio sul modo con cui viene usato dai protagonisti della vicenda il termine «abuso» e sulla mancata chiarezza tra ciò che era conosciuto nell’immediatezza del fatto e ciò che emergerà solo nel 2014, si gioca la partita mediatica di chi cerca di sfruttare questa vicenda per caricare sulle spalle di Delpini e più in generale dei responsabili della Curia di Milano la responsabilità di non aver agito adeguatamente. Le decisioni che vennero prese subito dopo il fatto si possono ovviamente discutere, specialmente col senno di poi, ma non è corretto leggerle alla luce della denuncia formale del 2014 quando venne attestato per la prima volta che il ragazzo ricordava di aver subito un tentativo di violenza sessuale.
Tra coloro quindi che secondo Tornielli cercherebbero “di sfruttare questa vicenda per caricare sulle spalle di Delpini e, più in generale, dei responsabili della Curia di Milano, la responsabilità di non aver agito adeguatamente” c’è anche un nome illustre, quello del cardinale Scola che, in una lettera ai familiari…
I responsabili della diocesi ambrosiana non sono parte del processo penale. Mentre la famiglia ha rinunciato a costituirsi parte civile avendo concordato con don Galli un risarcimento. Né la parrocchia di Rozzano né la diocesi di Milano hanno avuto alcun ruolo nella transazione e dunque non hanno contribuito a pagare alcun risarcimento: si è trattato infatti di un accordo avvenuto tra la vittima e il sacerdote. Il processo stabilirà le responsabilità del giovane prete in questa triste vicenda. Il tentativo strumentale di «processare» mediaticamente l’arcivescovo ambrosiano, alla prova dei fatti, appare in tutta la sua inconsistenza.
Personalmente, da vittima e anche da presidente di un’associazione di vittime, mi sento offeso da questo articolo e dalla disonestà intellettuale con la quale è stato scritto.
Un articolo che il vaticanista Andrea Tornielli scrive omettendo i documenti di base come la deposizione del diretto interessato, monsignor Mario Delpini – che già da sola invalida sin dalla prima riga dell’articolo l’intero contenuto – basandosi invece su testimonianze di persone che pur avendo compreso l’accaduto non avevano avuto testimonianza diretta. Calca la mano sulla fragilità del minore che come avete letto dalle testimonianze, soprattutto quelle che Tornielli ha omesso, dà chiari ed espliciti segnali sin da subito, tant’è che persino i tre adolescenti che lo stesso Tornielli cita – omettendone però la deposizione – dichiarano di aver capito fin da subito, anche senza la conferma della presunta vittima, quanto fosse accaduto.
Quello che è imperdonabile è che senza alcun rispetto Tornielli fa leva su un ragazzino 15enne, presunta vittima di stupro, per non essere riuscito immediatamente ad esternare ancora più chiaramente di quanto avesse fatto i dettagli di quella notte. Al tempo stesso, a fronte della dichiarazione dello stesso mons. Delpini che ammette che SUBITO gli fu comunicato l’abuso sessuale, nessuna critica sul fatto che per tre anni non sia intervenuto e non abbia avviato alcuna procedura canonica, se non solo dopo la denuncia della presunta vittima all’autorità civile.
Francesco Zanardi Presidente Rete L’ABUSO
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