Di Francesco Zanardi
Malgrado il nostro paese sia tra i più industrializzati del pianeta, non è certamente tra i più all’avanguardia per quanto concerne la tutela dei minori.
A dirlo questa volta non siamo più solo noi della Rete L’ABUSO ma lo certifica, e lo mette nero su bianco, anche il Comitato per la tutela del fanciullo delle Nazioni Unite di Ginevra che, il 7 febbraio 2019, ha reso note le conclusioni finali (CRC/C/ITA/CO/5-6) dell’esamina che si è tenuta a Ginevra il 22 e 23 gennaio scorsi. Nei due giorni di seduta con la delegazione italiana, il Comitato ha esaminato a 360 gradi la situazione dei minori in Italia, analizzando l’accoglienza, l’istruzione, la sanità e anche gli abusi sessuali, in particolare modo quelli commessi dai membri del clero che, da quanto la nostra ONG ha documentato nei mesi scorsi all’Ufficio di Ginevra, non solo troppo spesso non vengono perseguiti dalla Giustizia in modo adeguato, ma, da quanto possiamo documentare, grazie a una rete ben strutturata sul territorio italiano, sostanzialmente possiamo sostenere che godono dell’impunità, con lo Stato che si limita a non intervenire.
Potremmo definirla una sorta di tacito accordo tra lo Stato e la Chiesa, accordo naturalmente che non ha nulla a che fare con il Concordato, che in Italia meglio conosciamo con il nome di Patti Lateranensi.
Cominciammo a maturare la tesi che esistesse una sorta di escamotage in tutela delle gerarchie cattoliche di cui lo Stato italiano era tacitamente complice, o quanto meno molto tollerante. Un meccanismo che, nella sostanza, anche in caso di condanna, sembra permettere ai sacerdoti non solo di non finire in carcere, ma di poter scontare una pena quasi “simbolica” in modo agiato e senza particolari restrizioni.
Emblematico il caso di don Ruggero Conti: condannato a 14 anni per aver abusato di 7 bambini di età compresa tra i 10 e i 12 anni e affidato, proprio dal Tribunale, ad una struttura che poi scopriremo essere adibita al trattamento degli adolescenti. Ebbene, don Conti, nel settembre del 2017, in tutta tranquillità è “evaso”, e con una notevole disponibilità economica, al punto di potersi permettere un taxi che lo portasse da Roma a Milano.
Un sistema strutturato in modo tale che, visto da un occhio esterno, dà l’impressione che vi sia stata una reale condanna, ma sfugge il fatto che il condannato, in realtà, non sconterà alcuna pena: non viene costretto ad un regime carcerario, ma viene affidato direttamente dai Tribunali o dalla Magistratura, a strutture della chiesa adibite proprio a questo scopo. Una sorta di “carcere privato” e gestito dal clero anziché dall’Autorità Carceraria.
A dimostrare questa nostra apparentemente bizzarra teoria, nata all’epoca soprattutto dietro le assegnazioni dei domiciliari, che notavamo essere sempre negli stessi posti, è stato il libro inchiesta di Emanuela Provera e Federico Tulli, “Giustizia Divina”. Un libro che parte dalla scoperta di 5 di queste strutture che, intorno al 2012 – 2013, avevamo individuato sul territorio italiano, siamo oggi arrivati a documentarne più di 20.
Ma Giustizia Divina fa molto di più perché conferma quello che, per anni, era solo un nostro sospetto che, a raccontarlo, non valeva più di una illazione. I due autori fanno la “prova del nove” per vedere se quel sospetto è fondato: esclusi i carceri minorili e femminili, interrogano le 191 case circondariali maschili presenti in Italia. Di queste, 125 rispondono alla domanda dei due autori “quanti sacerdoti avete in questa struttura?”. La risposta si commenta da se: in tutto i sacerdoti reclusi sono cinque, di cui uno solo condannato per pedofilia.
Questo dato appare un po’ strano ai nostri occhi perché la Rete L’ABUSO ha contato, solo negli ultimi 15 anni la bellezza di 142 sacerdoti condannati in via definitiva solo in Italia. La domanda è molto semplice: dove sono?
È anche vero che agli autori di Giustizia Divina, su 191 carceri interrogati, hanno avuto risposta da 125, ma sembra impossibile credere che, casualmente, quei sacerdoti sono proprio tutti in quelle strutture che non hanno risposto.
Anche perché potremmo in parte smentire questa eventuale affermazione, in quanto sappiamo che molti di loro sono in affido alla stessa chiesa e alle sue strutture.
… C’è poi il servizio di Luca Bertazzoni, prodotto dietro nostra segnalazione da LA7. Dietro l’indagine che la Rete L’ABUSO ha condotto sugli abusi all’Istituto cattolico veronese Antonio Provolo, scopriamo che uno di quei sacerdoti accusati dagli ex allievi sordi dell’istituto, don Giuseppe Pernigotti che dopo la nostra denuncia da Fabrica è ritornato a Verona, è il presidente della FIAS e guardate cosa risponde al giornalista de LA7 che si finge un sacerdote pedofilo e confessa un abuso su un minore.
Giustizia Divina e il documento di Bertazzoni, sono stati integrati nei passaggi essenziali e portati all’attenzione del Comitato ONU nei vari report che la Rete L’ABUSO ha inviato dal giugno scorso, in realtà proprio negli ultimi il libro, in quanto il libro è uscito solo lo scorso novembre.
Tra il materiale inviato a Ginevra, oltre all’importante inchiesta di Provera e Tulli, sono state documentate diverse situazioni che preoccupano molto l’Associazione, come le sistematiche negligenze e omissioni dei vescovi, che abbiamo rappresentato con uno dei casi a nostro avviso più eclatanti: quello dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini, che coprì il sacerdote Mauro Galli e, malgrado ciò, in barba alle sue stesse dichiarazioni, Bergoglio lo ha comunque nominato, nel luglio 2017, arcivescovo di Milano.
Tra i casi segnalati anche quello di Giada Vitale che, secondo il Tribunale di Larino, alla scadenza tecnica del compimento del 14° anno di età, da vittima si è trasformata in consenziente. Quello del sacerdote Silverio Mura, protetto dal cardinale Crescenzio Sepe, sparito da Napoli per materializzarsi sotto falso nome a Montù Beccaria (PV).
Sia Sepe che Delpini, malgrado le evidenze, restano tra i 5 insabbiatori membri del Consiglio Episcopale permanente della CEI.
Oltre al “Report Giustizia sul Caso Italia” prodotto dalla Rete L’ABUSO e disponibile sul sito delle Nazioni Unite, c’è anche tutta la parte giuridica prodotta dal titolare dei fascicoli depositati presso l’autorità Giudiziaria italiana e, per conoscenza, inviati anche al Comitato. L’avvocato Caligiuri ha articolato alcune problematiche riferite ai Patti Lateranensi, che limitano l’autonomia e l’efficacia dell’Autorità Giudiziaria. L’avvocato spiega che “il comma 4 dell’art. 4 dell’accordo Laterano del 1984 (Patti Lateranensi) il cui testo ripresenta integralmente il medesimo contenuto dell’art. 7 del primigenio Concordato, dove si stabilisce che: “Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero”.
Il Protocollo Addizionale, in relazione all’art. 4 – punto b) dell’Accordo si stabilisce che: “La Repubblica italiana assicura che l’autorità giudiziaria darà comunicazione all’autorità ecclesiastica competente per territorio dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici”.
La disparità di trattamento, insita nella disposizione, confrontata con il comma 4 dell’art. 4 del ridetto Accordo del 1984, determina la sovrapposizione di modelli culturali e procedurali incompatibili, a discapito della necessaria segretezza dell’attività investigativa da svolgere da parte della Procura della Repubblica competente che, al contrario, deve essere mantenuta insindacabile ad esclusiva valutazione discrezionale del P.M. designato, soprattutto nei casi in cui si presentano specifici elementi indizianti da verificare, o approfondire, come avviene nelle ipotesi concorsuali, o di favoreggiamento personale, nell’attuazione dei depistaggi”.
Qui va fatta una riflessione sul fatto che si concedano dei privilegi unici alle gerarchie cattoliche, sulla base della funzione di responsabilità e di controllo che costoro hanno sui loro sottoposti, ma al tempo stesso sono esentati da responsabilità che in una situazione normale, lo stesso potere di controllo sui sottoposti imporrebbe.
Sempre nel “Report Giustizia sul Caso Italia” la Rete L’ABUSO – come già fatto in precedenza, sia nell’interrogazione parlamentare, sia nella diffida, sia nella denuncia al Governo italiano – solleva la grave lacuna del c.d. certificato anti pedofilia, che vede esentata dall’esibirlo l’intera categoria del volontariato, alla quale appartengono anche i sacerdoti. Altro punto importante segnalato, è l’obbligo di denuncia anche per i membri del clero, soprattutto per i vescovi che, di fatto, sono localmente coloro ai quali giungono le denunce fatte all’interno della diocesi e ne decidono la sorte: per il momento quella di insabbiare in quanto, ad oggi, non si ha notizia di un solo membro del clero che abbia mai denunciato all’autorità civile un collega pedofilo.
Queste erano le nostre principali preoccupazioni che sono state raccolte dal Comitato e portate in seduta dal membro del Comitato Jorge Cardona che le aveva esposte nelle sedute del 22 e 23 gennaio scorso.
Ieri l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite di Ginevra, ha reso pubbliche le Raccomandazioni all’Italia e, con nostra enorme soddisfazione, abbiamo visto riconosciute punto per punto tutte le carenze e i vuoti legislativi che in questi mesi la Rete L’ABUSO ha segnalato sulla specifica materia al Comitato.
Di seguito, i principali passaggi delle osservazioni conclusive del Comitato e le Raccomandazioni al Governo italiano in materia specifica di pedofilia nel clero cattolico. Documento integrale
19. (e) Garantire che i bambini vittime di violenza ricevano cure specializzate, sostegno e riparazione appropriata.
20. Accoglie favorevolmente il piano nazionale per la prevenzione e la lotta contro gli abusi e lo sfruttamento sessuale dei bambini 2015-2017 e la rivitalizzazione dell’Osservatorio per contrastare la pedofilia e la pornografia infantile, il Comitato Onu per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è preoccupato per i numerosi casi di bambini vittime di abusi sessuali da parte di personale religioso della Chiesa cattolica nel territorio dello Stato italiano e per il basso numero di indagini e criminali azioni penali da parte della magistratura italiana.
Con riferimento alle sue precedenti raccomandazioni (CRC / C / ITA / CO / 3-4, par. 75) e commento generale n. 13 (2011) sul diritto del bambino alla libertà e contro tutte le forme di violenza nei suoi confronti e prendendo atto dell’obiettivo 16.2 dello sviluppo sostenibile degli obiettivi, il Comitato raccomanda all’Italia di:
(a) Adottare, con il coinvolgimento attivo dei bambini, un nuovo piano nazionale per prevenire e combattere l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei bambini e assicurarne l’uniforme implementazione su tutto il suo territorio e a tutti i livelli di governo;
(b) Istituire una commissione d’inchiesta indipendente e imparziale da esaminare tutti i casi di abuso sessuale di bambini da parte di personale religioso della Chiesa cattolica;
(c) Garantire l’indagine trasparente ed efficace di tutti i casi di violenza sessuale presumibilmente commessi da personale religioso della chiesa cattolica, il perseguimento dei presunti autori, l’adeguata punizione penale di coloro che sono stati giudicati colpevoli, e il risarcimento e la “riabilitazione” psichica delle vittime minorenni, comprese coloro che sono diventate adulte;
(d) Stabilire canali sensibili ai bambini, per i bambini e altri, per riferire sulle violenze subite;
(e) Proteggere i bambini da ulteriori abusi, tra l’altro assicurando che alle persone condannate per abuso di minori sia impedito e dissuaso il contatto con i bambini, in particolare a livello professionale;
(f) Intraprendere tutti gli sforzi nei confronti della Santa Sede per rimuovere gli ostacoli all’efficacia dei procedimenti penali contro il personale religioso della Chiesa cattolica sospettato di violenza su minori, in particolare nei Patti lateranensi rivisti nel 1985, per combattere l’impunità per tali atti;
(g) Rendere obbligatorio per tutti, anche per il personale religioso della Chiesa cattolica, la segnalazione di qualsiasi caso di presunta violenza su minori alle autorità competenti dello Stato italiano;
(h) Modificare la legislazione che attua la Convenzione di Lanzarote in modo da garantire
che non escluda il volontariato, compreso il personale religioso della Chiesa cattolica, dai suoi strumenti di prevenzione e protezione.
In merito alla violenza di genere.
22. Il Comitato attira l’attenzione dello Stato italiano sull’obiettivo 5.2 degli Obiettivi di sviluppo e lo sollecita a:
(a) Garantire che le accuse di crimini legati alla violenza di genere, compresa la tratta di bambini stranieri, in particolare le ragazze, siano accuratamente indagate e che i responsabili siano consegnati alla giustizia;
(b) Fornire regolari corsi di formazione per giudici, avvocati, procuratori, i polizia e altri gruppi professionali pertinenti su procedure standardizzate, di genere e di allerta per i minori per quanto riguarda le vittime e su come gli stereotipi di genere da parte il sistema giudiziario influisca negativamente sulla rigorosa applicazione della legge;
Coordinazione
(6) Il Comitato esorta lo Stato membro a definire un mandato chiaro e sufficiente autorità all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per la famiglia Politiche) per coordinare tutte le attività connesse all’attuazione della Convenzione a livello intersettoriale, nazionale, regionale e locale e rafforzare il ruolo del cittadino Osservatorio sull’infanzia e sugli adolescenti nell’ambito di tale interministeriale corpo coordinatore. Lo Stato Parte dovrebbe assicurare che l’Osservatorio Nazionale su Infanzia e adolescenti sono forniti con le necessarie risorse umane, tecniche e risorse finanziarie per il suo effettivo funzionamento.
Disseminazione, sensibilizzazione e formazione
(11) Riconoscendo gli sforzi dello Stato membro, anche facendo alcuni ufficiali documenti accessibili in ETR (facile da leggere), il Comitato raccomanda che lo Stato parte:
(a) Intensificare i suoi sforzi per diffondere informazioni sulla Convenzione e sui suoi Protocolli opzionali, anche attraverso programmi di sensibilizzazione, ai genitori, i più ampio pubblico e bambini in un modo a misura di bambino, alle organizzazioni basate sulla fede, e ai legislatori e ai giudici per assicurare la loro applicazione in ambito legislativo e giudiziario processi;
(b) Rafforzare i suoi programmi di formazione per tutti i professionisti che lavorano con e per i bambini, anche implementando un programma per i diritti dei bambini e formatore approccio.
Comments are closed