“Io conosco tanti bravi sacerdoti” “non è gusto che quattro mele marce infanghino il lavoro di chi fa bene”.
Ma cosa vuole dire fare bene? Il bene della chiesa o quello della società che la circonda?
Il dubbio sorge da un singolare ma diffuso ragionamento che qualche giorno fa si è riproposto leggendo l’ultimo libro di Gianluigi Nuzzi “Giudizio universale”, dove un certo prelato che ha condotto affari poco leciti, risolleva questa curiosa sottigliezza che oserei definire “da prete”, rimproverando i colleghi che hanno condotto affari poco leciti quanto lui, ma non per l’illecito in se, ma perché lo hanno fatto a fini personali e non per “il bene” della chiesa…
Di Francesco Zanardi
Una frase che in questi 20 giorni di indagini , mi sono sentito ripetere decine di volte da molti. Mai, però, dagli interessati che, a detta di questi molti, son così bravi e vedrebbero il loro operato minacciato da quattro mele marce.
Una bravura che poi però nessuno sa spiegare, nel concreto, in cosa consista o quale sia la regola che la stabilisce. Gli interessati, sacerdoti che puntualmente sentenziano su aborto, omosessualità, pedofilia, politica e quant’altro: sul collega però tacciono. Forse anche qui, è come nella sottigliezza fatta dal prelato nel libro di Nuzzi, siamo noi a non comprenderne la sfaccettatura.
Certo se il collega accusato di molestie fosse stato di un’altra città, quanti avrebbero commentato e …con che toni? Avrebbero probabilmente lamentato “i bambini vanno protetti, lo dice anche Papa Francesco” – “che vergogna, nessuno fa nulla per quelle persone”- “se fosse successo qui avremmo denunciato. Il mio parroco poi, su queste cose…”.
Ma i fatti accadono proprio a Genova…
Nella parrocchia di Albaro, uno dei primi luoghi dove ci rechiamo, è domenica, c’è la messa, e all’uscita, un uomo ed una donna – mandati da me per cercare di raccogliere qualche informazione in più di quelle poche contenute nella lettera anonima – chiedono di don Franco, ma l’interlocutore dice di non conoscerlo. Chiedono a un altro e un altro ancora, ma nessuno conosce quel don Franco, che ha fatto il parroco, proprio lì e per venti anni.
I primi giorni dell’inchiesta, quelli prima di essere contattato dai vari presunti abusati e testimoni, provo a raccogliere qualche informazione che mi permetta di riuscire a muovermi in modo più circostanziato possibile e soprattutto di persona, evitando di agitare troppo le acque, qualcuno mi potrebbe riconoscere. Chiamo persone dell’ambiente che conosco, vediamo se possono aiutarmi… non negano nulla anzi, ma mi fanno capire che non possono e glissano.
Se pur con qualche parola di rammarico, Monsignor Alberto Tanasini, è l’unico che non nega di sapere quanto accaduto a Sori, ma su Albaro eh.. non è lui competente, lui sa del passato, anche se ammette di avere il sentore che qualcosa possa essere accaduto.
Dall’arcidiocesi di Bagnasco, invece, il silenzio è più tombale che altrove, neppure la frasetta di rito “soffriamo tanto e siamo molto addolorati per le vittime”. Il nulla più assoluto, forse solo la speranza che si smetta presto di parlare di don Franco Castagneto.
Una vicenda che parte dai tempi di Dionigi Tettamanzi, passa per Tarcisio Bertone e riemerge, questa volta all’attenzione del cardinale Angelo Bagnasco, che chissà se avrà avuto la notizia…
Certo, fa specie vedere che la tanto acclamata trasparenza e la tolleranza zero invocate da Papa Francesco, nei fatti siano inapplicabili e si riducano ad un’omertà che, ancora ai giorni nostri, parte dalle più alte sfere, passa per il clero genovese e approda nelle parrocchie, tra gli Scout, gli educatori, e all’Azione Cattolica, dove anche lì vige il silenzio più assoluto, rotto solo da qualche parrocchiano che difende a prescindere l’operato dei sacerdoti, che però non fanno un solo fiato …
Dall’altra faccia della medaglia le vittime: lasciate sole da tutti. Non mi riferisco solo a chi sostiene di aver subìto molestie da don Franco, qui ci sono altre vittime, le donne, che non avrebbero subito violenze dirette, ma subìto di sapere, di vedere e tollerare, che i loro uomini fossero molestati da un prete che aveva, e forse ha ancora, una abilissima capacità di manipolazione. “Don Franco ci diceva: baciatemi come gli apostoli con Gesù”.
SORI: un paesino di circa 4000 anime, che vive come tutti i paesi della costa di turismo e delle poche attività, una comunità molto ristretta dove stando alle testimonianze raccolte in questi giorni, il don si era creato il suo “harem”.
Una vicenda che trova il silenzio dell’intera comunità, della stessa chiesa ma che urla il dolore di decine di persone. Molte non abitano neppure più in Liguria, ma hanno voluto comunque parlare con me al telefono e lasciarmi la loro testimonianza di quei ricordi ancora oggi indelebili. Qualcuno di loro, malgrado sia riuscito a non farsi coinvolgere, racconta il dolore e la rabbia di aver assistito impotente.
Altri non si spiegano come siano riusciti a farsi manipolare fino al punto di non reagire e non sottrarsi a quella situazione, anzi – col magone commentano – “abbiamo coinvolto altre persone”.
C’è anche il sesso in questa vicenda, ma è solo una parte, in questo caso qualcosa che definirei secondario in quanto usato principalmente come strumento/arma di ricatto, per garantire la fedeltà e i segreti di una parte di quella piccola comunità. Molti dei testi che ho sentito in questi giorni, raccontavano la vicenda quasi in terza persona, come se avessero agito in uno stato di fortissima sudditanza psicologica che va oltre l’indottrinamento.
Emergeva uno schema settario, che però spesso i testi non notavano e non riuscivano quindi a sottolineare nei loro racconti. Forse perché ancora oggi ne sono soggiogati.
Non voglio entrare troppo nel merito dell’indagine, ma emerge una sorta di struttura piramidale retta da persone accuratamente scelte dal don, la Fratellanza.
La prima regola ? “Non parlare con estranei della Fratellanza”, altrimenti sei fuori.
Coinvolgeva anche intere famiglie, non solo ragazzi e singoli. Gli uomini si riunivano in un incontro “esclusivo” il lunedì sera. Alle donne era vietato.
Lì si decideva la vita della ristretta ed esclusiva comunità, si condividevano i turbamenti, i segreti più profondi, un momento di aggregazione (manipolante) molto intimo e coinvolgente, che al termine sigillava la Fratellanza, con qualcosa di rituale e compromettente, un gesto che rendesse i presenti tanto complici da garantirsi l’obbedienza e il silenzio.
Nella mia carriera, qualche storia di abusi l’ho vista, ma questa vicenda ha qualcosa di surreale ed inquietante. Non approfondisco per ora il tema della Fratellanza al quale ho accennato ma è ben più ampio e complesso.
Mi duole non poco, vedere il silenzio intorno a questi fatti, un silenzio, un’indifferenza che c’era 30 anni fa e che continua ancora oggi malgrado la consapevolezza che, allora, non c’era. Un’intera comunità che non reagisce in alcun modo di fronte a tutto ciò, non cerca neppure di difendersi, quasi a dar garanzia per il futuro, garanzia che fatti come questi continueranno a esserci, magari anche a danno dei propri figli, ma sempre nel rigoroso e omertoso silenzio che santa romana chiesa esige.
Riflessioni che un uomo che ha scelto di portare avanti una battaglia per la verità come questa, spesso è costretto a fare.
“E nel frattempo, sempre a Genova, il Secolo XIX porta alla luce un’altra storia di silenzi recenti, teatro questa volta, il quartiere della Maddalena“.
Nella mappa gli ultimi recenti casi in città.
Zanardi
“Fraternità” la setta di don Franco “lui non pregava per noi, lui ci predava”
CONTRIBUTO: Phil Saviano – tratto da Spotlight
“Se sei un bambino povero di una famiglia povera, la religione conta moltissimo e se un prete ti presta attenzione, è una grande cosa. Ti fa raccogliere i libri dei canti, gettare la spazzatura e ti senti speciale, è come se Dio ti chiedesse di dargli una mano. Così è un pò strano quando ti racconta una barzelletta sporca, però adesso avete un segreto in comune. E così stai al gioco.
Poi arriva una rivista porno, e tu stai al gioco. Stai al gioco finché un giorno arriva a chiederti di fargli una sega, oppure un pompino, e tu stai al gioco anche in quel caso, perché tu ti senti in trappola, perché lui ti ha circuito.
Come puoi dire di no a Dio?
Vedete è importante capire che non è soltanto un abuso fisico ma è anche un abuso spirituale e che quando un prete ti fa questo, ti sta rubando anche la tua fede. Così chiedi aiuto alla bottiglia, o a una siringa e se non funzionano ti butti da un ponte.
Per questo ci chiamiamo sopravvissuti”
Comments are closed