“Noi siamo un’officina, non siamo uno sfasciacarrozze. Chi vuole rottamare la macchina non ha bisogno di venire da noi”. Così Marco Ermes Luparia, 69 anni, diacono e psicoterapeuta, descrive la sua équipe di 5 persone che da più di 20 anni accoglie e segue a Roma in un percorso di sostegno religiosi colpiti da vari problemi psicologici e comportamentali. Tra questi, quello della pedofilia.
Marco Ermes Luparia parla del suo lavoro come di un lavoro “di pronto soccorso, in trincea”: opera al Divino Amore, un centro che ospita religiosi che arrivano da varie parti d’Italia e dall’estero. “In venticinque anni abbiamo visto passare centinaia di religiosi. Problemi di burn out, di immaturità, crisi vocazionale: la lista è lunga e ci occupiamo anche di casi di pedofilia” spiega.
Se il prete finisce in cella, finisce la terapia
Un percorso che, a prescindere dalla sua efficacia, durante il suo sviluppo incontra un ostacolo. Quando il prete viene condannato e condotto in carcere, la terapia si inceppa. “In prigione non possiamo entrare” spiega Don Luparia. Ad oggi né lo Stato italiano né la Chiesa prevedono una prassi ufficiale per controllare e offrire un percorso psicologico a chi esce dal carcere dopo avere scontato una pena per abusi sessuali sui bambini.
Dopo il carcere, i preti diventano senzatetto
“Nella maggior parte dei casi questi preti dopo il carcere diventano senzatetto – spiega Luparia – noi anche dopo cerchiamo di portare avanti la terapia. Certo deve volerlo il prete, e deve essere aiutato dal vescovo. C’è un numero consistente di sacerdoti che hanno fatto terapia con noi e che ora non sono più preti: per loro sogniamo un convento per permettergli di vivere una vita dignitosa e che sarebbe un valore aggiunto per tutta la società; non parleremmo più infatti di possibili schegge impazzite. Vale per i terroristi, vale per gli assassini la possibilità di vivere una vita dignitosa, perché non dovrebbe valere anche per i preti pedofili?” chiede Luparia.
Estratto dall’articolo “Dove si curano i preti pedofili” – Euronews
Di Francesco Zanardi
Sono il fondatore della Rete L’ABUSO, ma sono anche una vittima che nel suo ruolo di Presidente, dopo dieci anni in trincea, ha perfetta conoscenza della situazione delle vittime in Italia. Ho dato un titolo forte a questo articolo “Come una tanica di rifiuti tossici”, ma penso si possa difficilmente contestare, neppure affermando che la chiesa è fatta di tanti bravi preti. Può essere, ma in dieci anni non ne ho ancora visto uno attaccare la chiesa per chiedere giustizia per le vittime che ha prodotto.
Le parole di Luparia sconvolgono, è triste dirlo, ma qui emerge la cultura criminale della chiesa di Roma, la cui sola preoccupazione si conferma essere, anche nel 2020, quella di salvaguardare la propria immagine e la salute psicofisica dei suoi preti pedofili.
È altrettanto triste osservare come, a fronte della preoccupazione di Luparia per la “fragilità, il recupero e la dignità” dei sacerdoti pedofili (che in Italia possono godere di ben 23 centri di cura come quello gestito da Luparia – nulla invece per le vittime) neppure un’espressione di rammarico, in favore degli innocenti fanciulli affidati alle cure di quei sacerdoti e rimasti vittime delle loro attenzioni. Semplice carne da macello.
Certo, basta ricordare le parole del papa, lo scorso febbraio, quando dichiarò che finalmente la chiesa aveva preso consapevolezza del problema, ma Luparia, afferma nella sua intervista (e noi ne confermiamo la veridicità dell’affermazione, ampiamente documentata nel libro “Giustizia divina” – Chiaralettere) che la chiesa si prende cura di questi “sventurati” da 20 anni, ne viene da sé che, forse, la consapevolezza ce l’ha già da un po’, non solo dopo il summit dello scorso febbraio.
Nel frattempo, mons. Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale della Cei per la tutela dei minori, lamenta che “I dati sono il vero problema”, quasi come se alla Congregazione per la Dottrina della Fede, fossero incapaci di fare un banalissimo elenco dei preti condannati dalla chiesa. Ma forse il problema è che ne uscirebbero molti nomi che ancora non sono pubblici.
Ma il problema civile-culturale non è purtroppo solo di Luparia o di Ghizzoni, almeno in Italia, dove la comunità cattolica è la più derisa dai cattolici del pianeta, che la ridicolizzano in quanto l’unica a scendere in piazza e per le strade, mica chiedendo pulizia nella chiesa o giustizia per le vittime, ma per gridare l’innocenza del pedofilo.
Vedi i casi dal più recente; 1 febbraio 2020 “Aulla: la comunità difende i preti accusati di pedofilia”; 7 novembre 2019 “RANDAZZO: LA PRIMA MESSA DOPO 5 ANNI PER DON ENZO CALA’: «LONTANO SOLTANTO SPIRITUALMENTE» ; 10 marzo 2019 “Serina; prete condannato per molestie. Ma il paese è con lui: mille firme per don Marco”… e tanti altri, don Luciano Massaferro, don Franco Zappella, don Paolo Turturro, dopo il carcere, accolto a braccia aperta dai parrocchiani. Ecc. ecc. ecc.
Ma si, alla fine non erano mica stati condannati perché dicevano male la messa, stupravano solo i bambini, capita, soprattutto in parrocchia…
Zanardi
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