Che la “tolleranza zero” di Papa Francesco fossero solo belle parole, che finiscono per arenarsi nei sacri palazzi al cospetto dei vescovi, era già molto chiaro nel luglio 2019 quando, nel chiaro tentativo di insabbiare il caso di don Franco Castagneto, il cardinal Angelo Bagnasco si vide revocare dalla CDF l’autorizzazione al processo penale canonico trasferendolo a Torino, da dove poi come consuetudine non si è saputo più niente.
Invece si è saputo di don Vincenzo Calà, condannato dal tribunale italiano a tre anni con l’annullamento per intervenuti termini prescrittivi – dei soli effetti penali – che vedrà ribaltata la sentenza in sede canonica con la piena assoluzione da parte del vescovo di Acireale Antonino Raspanti.
Di pochi giorni fa il caso analogo di don Mauro Galli. Questa volta il vescovo è Mario Delpini che, proprio sulle omissioni in fase di indagine ecclesiastica sul caso Galli, raccolse persino l’ammonizione del cardinale Scola che le definì già all’epoca le sue “scelte maldestre”.
Ora Scola non c’è più e Delpini è diventato il suo successore, ma il “vizietto” di fare scelte maldestre pare che gli sia rimasto. Vediamo infatti, nell’esito del processo italiano a don Mauro Galli, la condanna in primo grado a sei anni e quattro mesi per aver dormito nello stesso letto e aver violentato Alessandro Battaglia, all’epoca 15enne.
In quella sede, con tanto di competenze in quanto da 15 anni avvocato della diocesi di Milano, oltre che membro della neonata commissione per la tutela dei minori della stessa diocesi, riferendosi al processo canonico l’avvocato Mario Zanchetti – difensore in questo caso di don Galli – disse rivolgendosi ai Giudici “Non sto bagatellizzando la situazione, sto dicendo che ciò che ha fatto don Mauro è stato profondamente sbagliato e che le conseguenze non saranno piacevoli” in quanto anche non fosse avvenuta la violenza, il solo fatto che il Galli abbia dormito con un minore è gravissimo per la chiesa.
Invece scopriamo che, zitti zitti, il processo canonico a don Galli non solo è stato celebrato, ma è l’ennesima assoluzione dalla chiesa in prima istanza.
A prescindere dal fatto che nel processo canonico la massima pena che la chiesa può infliggere è la dimissione dallo stato clericale, non possiamo però non renderci conto che gli interventi della campagna di tolleranza zero, posti in essere da Papa Francesco per contrastare la pedofilia, vengono disattesi totalmente se viene assolto in sede canonica chi è stato condannato da un tribunale laico, cosa che non rende neppure giustizia a Dio.
Sorgono spontanee diverse riflessioni, in quanto con l’assoluzione canonica si crea un macroscopico problema perché vengono meno tutti i provvedimenti che dovrebbero intervenire in caso di condanna. Sorge spontanea la domanda: quanto deve essere grave la violenza, per la sede canonica, affinché chi ha commesso uno stupro su un minore sia condannato?
Sempre nel caso Galli / Delpini la vittima ha non solo chiesto di essere informata, ma come decine di altri nostri assistiti ha richiesto gli atti senza ottenere risposta. Vengono così meno anche alla tanto proclamata “trasparenza” dopo la presunta abolizione del segreto pontificio. Apprendiamo infatti la notizia che il tribunale canonico ha assolto Galli da un’indiscrezione uscita dai sacri palazzi lombardi. Nessuna comunicazione ufficiale neppure alla vittima.
Ma la tolleranza zero, tanto acclamata da Papa Francesco, non era solo verso i preti pedofili, ma anche verso i vescovi che insabbiano i casi. Ebbene, vediamo quello di Delpini, che stiamo discutendolo in questo articolo che ne da notizia, ma anche in quello insabbiato da Bagnasco: per esempio è la stessa Santa sede tramite la CDF a revocargli l’incarico, ma non si ha notizia di alcun provvedimento, dopo la revoca, nei confronti del cardinale.
Siamo onesti, qui non viene meno solo la presunta buona fede di Papa Francesco, ma anche l’efficacia reale dei provvedimenti intrapresi dalla Santa Sede che in Australia citano a rispondere in giudizio proprio Papa Francesco che, alla luce dei fatti, continua ad avviare politiche fallimentari. Politiche che, nel fallimento, producono altre vittime perché non basta risolvere un caso su centinaia di casi nel mondo, quando va bene e nessun vescovo insabbia, per poter dire di aver risolto il problema e reso le parrocchie luoghi sicuri.
Questo è estremamente disonesto e possibile solo in Italia, e solo grazie alla maggior parte di stampa, genuflessa come i lacchè in protezione del Papa e che, puntualmente, censura tutto quanto di negativo emerga alla cronaca.
Come Presidente dell’Associazione Rete L’ABUSO esprimo a nome dei più di 900 nostri associati in Italia, rammarico e disgusto. Non solo per l’ennesimo fallimento delle politiche della Santa Sede che, ad oggi neppure le prende in considerazione e che se non dai tribunali civili, dalla chiesa non hanno mai ricevuto giustizia umana, ma anche nei confronti dello Stato italiano, da dieci anni totalmente complice consapevole: come conferma il Comitato ONU per la tutela dell’infanzia, reo, a differenza degli altri paesi, di aver scelto di non mettere mano a un problema sociale che ogni anno rende vittime decine di centinaia di cittadini.
Francesco Zanardi
Lettera aperta di Alessandro Battaglia a Mons. Mario Delpini, Arcivescovo di Milano
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