Un caso davvero triste ed emblematico, soprattutto dopo l’ultimo Motu proprio che, in peggio rispetto a prima, oltre a veder violare in pieno la normativa di papa Francesco, non vede coinvolto solo il presunto pedofilo, ma al suo seguito anche il vescovo. Quest’ultimo, anziché dar seguito alle nuove norme introdotte, dopo la denuncia della presunta vittima ha trasferito il prete nel Ferrarese; non solo, perché qui entra in scena persino la CARITAS, attraverso la quale in questo caso la chiesa avrebbe tentato di comprare il silenzio della presunta vittima offrendo non un risarcimento per il riconosciuto danno subito, ma denaro per chiudergli la bocca, quattro soldi che lo vincolassero al silenzio.
Tutto ciò, nella storica complicità della chiesa che, solo per evitare lo scandalo e per mantenere il buon nome dell’istituzione, tenendo fuori dai guai don Giuseppe Rugolo, il giovane sacerdote – di fatto trasferito all’istante e non isolato – subito integrato tra i giovani del ferrarese dove aveva già ricreato lì la sua pastorale di giovanile.
Ora si pone la domanda davvero cruciale sulla già ridotta fiducia dell’opinione pubblica nella chiesa in merito alla gestione della questione pedofilia. Una chiesa oramai collezionista di soli fallimenti in materia, ben tre papi, e venti anni dopo, altre centinaia di vittime non più solo dei preti pedofili ma per le politiche della chiesa e dallo Stato italiano, che non vede, non sente e oramai non legge nemmeno più i giornali dove anche li è oramai palese che in Italia ci sia un problema. Di fatto siamo ancora a questo livello dove continuiamo ad assistere a questo fallimento tra le storiche coperture sistematicamente impunite, in primis dal Vaticano, come quelle di Delpini a Milano, poi nominato vescovo dallo stesso Bergoglio, malgrado lo stesso avesse ammesso precedentemente ai magistrati – se pur giustificandosi asserendo “un errore di valutazione” – i ben due trasferimenti di don Mauro Galli, condannato poi dalla giustizia civile a sei anni e quattro mesi, ma assolto dal tribunale del chiesa.
O il reo confesso Felix Cini, poi reintegrato come è stato per Paolo Turturro, di nuovo in parrocchia appena uscito dal carcere. Ma come per la vicenda di don Silverio Mura, analoga a quella di Enna perchè nascosto dopo la denuncia alla diocesi addirittura sotto falso nome, trasferito dal sud, al nord, una triste e lunga lista che fa davvero poco onore al grido della tolleranza zero.
Ora però ci si chiede davvero a che gioco gioca la chiesa.
Se papa Francesco vuole un minimo di credibilità, a questo punto deve intervenire concretamente e non con le storiche chiacchere nei confronti non solo ovviamente del prete, ma anche delle gerarchie della chiesa. In questo caso, già solo da quanto riporta la cronaca, hanno palesemente violato le leggi attuali della chiesa, oltre a quelle dello Stato.
E si, perchè qualora risultasse che dopo la denuncia alla diocesi da parte della presunta vittima, il sacerdote avesse commesso anche solo un altro abuso, vedrebbe penalmente indagato anche il vescovo di Enna che, sulla base del secondo comma dell’articolo 40 del codice penale (che recita “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di evitare, equivale a cagionarlo”) sarebbe attivamente responsabile del reato c. d. omissivo, in quanto anche se pur vero che in Italia i vescovi non hanno l’obbligo della denuncia, non possono tuttavia sottrarsi a questo principio giuridico.
Francesco Zanardi
Don Giuseppe Rugolo – il “giallo” sulla lettera inviata a Papa Francesco
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