Ultimamente c’è un viavai di richieste di rimozione di articoli dal sito della Rete L’ABUSO , tanto che non passa una settimana senza che ne riceviamo almeno una.

Tutti si appellano al diritto all’oblio, però, malgrado la norma europea, sussiste nei casi di stupro “l’interesse pubblico e la sicurezza dei minori” basato sulla recidività che caratterizza i predatori sessuali: ragione per cui, anche se ci costa spesso molte scartoffie, non ci facciamo intimidire.

Il più delle volte le richieste arrivano da dubbi servizi online per la tutela della privacy ai quali i preti spesso si rivolgono pagando profumatamente per rifarsi il “lifting” sul web. Uno degli ultimi che ci ha scritto in merito era in realtà un’agenzia di pompe funebri che chissà se ha truffato anche il sacerdote nell’elargire il servizio.

Altre volte invece la richiesta arriva direttamente dal Garante, ma al momento, malgrado le diverse istanze dei sacerdoti e monsignori italiani, la Rete L’ABUSO è sempre risultata “in regola”, ottenendo puntuale archiviazione delle istanze.

La stessa cosa per quanto riguarda le querele per diffamazione da parte del clero di fronte ai tribunali italiani: per il momento, in 12 anni siamo sempre stati assolti. Anzi, spesso il querelante si è visto ricusare per calunnia o ha preventivamente ritirato la querela.

Anche questo tentativo di oscuramento da parte di Google dell’unico database italiano degli abusi sessuali del clero certo non stupisce visti i precedenti tentativi di rimozione falliti.

Anzi, fa riflettere: perché Google, infatti, se ne accorge dopo ben 12 anni dalla sua pubblicazione?

Dando un’occhiata a quanto Google segnala, è verosimile pensare che qualche sacerdote, dati i precedenti fallimenti, questa volta abbia tentato la via traversa “per rifarsi il lifting” (non potendosi più rivolgere probabilmente alle Istituzioni, che lo hanno già scaricato) , cerchi come “via italiana”, di ottenere la cancellazione del proprio caso, “reclamando” un presunto stato di pericolo e/o discriminazione (inesistente direi, in quanto attualmente non risultano casi con effettiva segnalazione).

Va ricordato a questo proposito che per esempio, negli Stati Uniti sono gli organi di Stato, come l’FBI, a pubblicare online nome, foto e residenza di chi è stato condannato o ritenuto socialmente pericoloso per questi crimini.

Un manifesto che non è sfregio della persona o di ciò che ha commesso, ma va a tutela della comunità e si basa sul dato scientifico che il predatore sessuale non è un malato, ma una persona con una grave devianza della personalità a cui non si può chiedere un autocontrollo. L’unico modo per poterlo integrare evitando che stupri altre persone è quello di dire alle potenziali vittime di stare attente.

Restando alla comunicazione di Google, attualmente abbiamo fatto richiesta di revisione del reclamo di cui facciamo presente attualmente di non avere alcun dettaglio in merito.

Il portavoce F. Zanardi

Tuttavia e comunque vada, Google Maps a parte, qui tutti gli elenchi della mappa (consultabili), dal nostro archivio storico e senza censura;

https://retelabuso.org/preti-pedofili-dati-database-statistiche-e-proiezioni-aggiornate-sulla-situazione-in-italia-osservatorio-permanente/

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