Si è concluso ieri a Enna con una condanna in primo grado a quattro anni e sei mesi, il processo che vedeva imputato don Giuseppe Rugolo condannato per violenza sessuale continuata e tentata violenza sessuale ai danni dia Antonio Messina, oggi trentenne. La curia vescovile della diocesi di Piazza Armerina invece, è stata riconosciuta responsabile civile.

L’avvocato della Rete L’ABUSO Mario Caligiuri commenta così la sentenza;

Restando in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza si può già affermare che questo risultato è importante e soddisfacente perché dimostra che per ottenere verità e giustizia, per le vittime è necessario denunciare, ma alle autorità civili. Senza esitare. Il tentativo della difesa e dei responsabili civili di spostare il focus insinuando dubbi sulla credibilità di Antonio Messina e delle altre prede di don Rugolo è andato in frantumi.

Antonio è stato creduto, prima dalla procura, poi dal Tribunale. A lui va riconosciuto il merito di aver avviato con il coraggio di denunciare una controtendenza in un territorio difficile dove le asimmetrie, generate dal potere e dall’omertà, soppiantando la legge. Antonio con determinazione lo ha fatto sostenuto dalla sua famiglia. Il risultato è come se fosse stato piantato uno scalpello di frassino nel cuore dell’ipocrisia e dell’omertà, nei luoghi che avrebbero dovuto garantire la massima protezione possibile ai ragazzini divenuti preda delle aggressioni di un uomo che dalle prove raccolte è risultato sicuramente problematico e assai pericoloso.

La comunità dei fedeli, le cittadine e i cittadini di Enna, devono prendere atto della verità processuale, che coincide con la verità storica. Il Tribunale di Enna con la sua pronunzia ha disvelato che sotto i paramenti di colori o foggia diversi indossati da don Rugolo in realtà si celava un abusante sessuale che predilige i ragazzini.

Il dato sistemico e diffuso di questo fenomeno, soprattutto nel nostro Paese, deve indurre seriamente l’esecutivo a rendere per questi casi obbligatoria la denuncia: “erga omnes “.

Il sacerdote nel frattempo aveva querelato con l’accusa di diffamazione non solo la stessa vittima, ma la parte civile nella persona del Presidente della Rete L’ABUSO, oltre a tre giornalisti, Pierelisa Rizzo, Manuela Acqua e Federica Tourn.

Querele per le quali il pubblico ministero aveva chiesto l’archiviazione, tuttavia, forse in attesa della pronuncia di Enna, non sono ancora state archiviate e per le quali, unitamente al dispositivo di condanna emesso ieri, sene chiederà la definitiva archiviazione.

Da vedere ora quali provvedimenti prenderà la chiesa nei confronti del sacerdote, al momento non toccato da un’indagine canonica anzi, lo stesso Papa Francesco difendendo pochi mesi fa l’operato del vescovo Rosario Gisana, dichiarò che era “un perseguitato“.

Qualcosa di “indecente” alla vigilia della requisitoria sul caso Rugolo, il Papa dice…

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