Premetto che questa analisi su, ciò che ritengo in una società civile una imbarazzante miseria di valori, è frutto di quasi venti anni di esperienza nella specifica materia, prima come vittima inconsapevole, poi come osservatore e poi ancora come fondatore di una Rete di sopravvissuti che, da oramai 15 anni, assiste in particolare le vittime abusate sessualmente dal clero. Una categoria particolarmente discriminata in Italia in quanto gli stessi abusanti hanno un ruolo ancora oggi di fiducia e di potere che spesso, come vedremo, non è di poca influenza. Come potrete rendervi conto nell’articolo, la categoria del clero pedofilo in Italia è così privilegiata da discriminare paradossalmente i pedofili laici, i quali non godono di una organizzazione e di una società timorata che li tutela.
Una leva tale da mettere spesso in difficoltà persino gli inquirenti che raramente sollevano questioni verso le gerarchie che favoreggiano. Raro quanto accaduto nel caso di Tivoli, dove la Procura ha avuto il doveroso coraggio di indagare a 360° riscontrando e annotando che “il clima di omertà ambientale è molto simile a quello mafioso”.
Il solo fatto che in Italia, a differenza degli altri paesi, esista da decenni una sola associazione che si occupa di vittime del clero dovrebbe far riflettere di suo.
Diciamo tranquillamente che mentre negli altri paesi si ha coscienza che lo stupro di un minore o di una persona vulnerabile è il problema sociale, in Italia il problema sociale si sposta sulla società stessa che, malgrado oggi sia consapevole del problema, continua a snobbarlo quasi si sentisse “immune”. Questo fa comprendere quanto il problema in Italia sia radicato e parta davvero dal basso.
Una riflessione maturata in occasione dell’iniziativa di sensibilizzazione sociale lanciata dalla Rete L’ABUSO, la PANCHINA tematica VIOLA contro l’abuso di minori e persone vulnerabili…
Un’iniziativa allargata come deve essere alla pedofilia in generale alla quale volevamo aggregarci dando per scontato esistesse già, accorgendoci però che in Italia non vi era un’iniziativa in questo senso. Trovammo panchine tematiche per tutto, persino per gli abbracci.
Nessuna per questo genere di crimini.
Cerchiamo di capire il perché di questa “anomalia” tutta italiana: non si può dire che il paese non sia sensibile ai problemi dei minori, se pur va anche qui notato che preferiamo sostenerli a distanza e, non che sia male, ma come vedremo più avanti, quasi a negare a noi stessi uno stato sociale. Di fronte agli abusi c’è spesso solo una indignazione, che lascia il tempo che trova. Manca “l’amor proprio” e una coscienza civile e collettiva responsabile, quella che porta a una reazione, al contrasto, alla tutela e alla prevenzione.
Esaminando i pochi dati statistici disponibili in Italia sul fenomeno, in particolare su minori, notiamo un’altra anomalia, ovvero si contano ogni anno statisticamente le vittime, ma anche in questo caso non c’è nessuna campagna di sensibilizzazione sociale, né azioni concrete di contrasto al fenomeno. Il primo e unico SPOT di sensibilizzazione che ricordo è quello della Polizia Postale, circoscritto alla pedofilia online. Risale però a 15 anni fa. (Giancarlo Giannini presenta il Centro Nazionale per il Contrasto alla pedo pornografia in Rete)
Da quanto si rileva in Italia dalle scarne e spesso incomplete statistiche, le effettive denunce all’autorità giudiziaria sono nettamente inferiori confronto ai paesi dell’area UE, circa il 12 – 15 %. Anche qui emerge un altro dato interessante, provengono per la maggioranza dalla società civile e riguardano quasi unicamente contesti familiari.
Particolarmente significative anche le cifre sulla pedopornografia online, dove però anche qui non si riscontrano indagini o arresti nei confronti dei pedofili, se non qualche sporadico blitz spesso nel contesto internazionale.
Chiarito l’ambiente generale proviamo ora a spostarci in un contesto di aggregazione come potrebbe essere per esempio un piccolo “circolo sportivo”.
Ebbene, da qui in avanti il dato praticamente svanisce.
Non troviamo infatti nulla. Il numero di denunce cala tanto drasticamente da fare pensare che questi ambienti siano “immuni” al problema. Ma non è affatto così e c’è una spiegazione sia sociale che legislativa.
Quella sociale è evidente e si aggiunge, come abbiamo detto prima, alla repellenza da parte della società civile ad affrontare per “amor proprio” concretamente il problema.
Repellenza che, per fare un esempio, porta “nel buon nome” del piccolo circolo sportivo, ad evitare che la cosa diventi pubblica, cercando di risolvere internamente senza denunciare l’accaduto alle autorità. Il timore è il pericolo che i genitori non mandino più i figli. Notiamo quanto cambi già in questo caso la “priorità” che non è più tutelare il minore, ma l’ambiente in cui accade e coloro che lo frequentano.
Sia dalla parte del circolo che da quella dei genitori, la reazione se ci pensate è totalmente illogica in quanto il genitore, contrariamente, dovrebbe sentirsi rassicurato se il circolo denuncia un eventuale caso di pedofilia. Per il circolo stesso dovrebbe essere un pregio di affidabilità. In Italia invece se non se ne parla, paradossalmente ci sentiamo più sicuri, malgrado la consapevolezza che i predatori siano ovunque.
Ad aggravare ulteriormente il problema vi è la mancanza di educazione per minori e adolescenti su temi come pedofilia o sessualità. Per una strana morale sono addirittura gli stessi genitori a trovare scandaloso l’argomento, negando strumenti come la consapevolezza, che può concretamente far sì che il minore si renda conto dell’eventuale pericolo e possa riferirlo, tutelando l’intera comunità.
L’ambiente descritto sopra ci aiuta a capire, oltre al problema, il cambiamento in negativo che avviene quando da un contesto familiare si passa a uno aggregativo. Va doverosamente sottolineato che nel contesto familiare il meccanismo è identico, difficilmente è un membro all’interno della famiglia a denunciare, ma chi è al di fuori, perché in questo caso non ne è coinvolto.
Capirete quindi che dire che gli abusi avvengono in particolare nelle famiglie o online, è estremamente incorretto. Sono in realtà le denunce che venendo omesse, non risultano. Cosa parecchio differente direi!
ENNA, il Papa, la CEI, il Vescovo e il prete
Se pur sia un prodotto giornalistico e non affronti la pesante problematica legislativa del paese, il Podcast “La confessione” prodotto da Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn è un ottimo documento che per la prima volta descrive quello che in Italia abitualmente avviene non solo a Enna, ma ovunque ci sia un caso di pedofilia nel clero.
Grazie agli audio originali delle intercettazioni prodotte dagli inquirenti durante l’indagine sul caso di don Giuseppe Rugolo, riesce a trasmettere allo spettatore direttamente dalla voce dei protagonisti, una incontestabile e grave situazione italiana. Un luogo comune noto praticamente dal 2010, che grazie alle affermazioni audio, toglie nell’ascoltatore qualunque possibile dubbio di errata o personale interpretazione da parte del narratore.
Difficile comprende perché in Italia la soluzione al problema ruoti da sempre, a dir poco “ingenuamente”, sulla fiducia verso il Papa e le gerarchie vaticane, quasi fossero loro a fare leggi nel paese, senza rendersi invece conto che sono coloro verso i quali si dovrebbe intervenire. Direi un lapsus culturale di massa favorito dalla totale assenza delle istituzioni. Quasi una mania che non rinsavisce neppure a fronte di tante promesse puntualmente mancate e a quanto emerso negli altri paesi, dove i governi con commissioni di inchiesta hanno svelato gli insabbiamenti della chiesa e le cifre astronomiche delle vittime, rendendo giustizia e indennizzi ai sopravvissuti, creando sicurezza per i cittadini più piccoli.
In Italia invece succede persino che il Papa intervenga inopportunamente sul caso di Enna, alla vigilia della requisitoria ed in favore del vescovo, a suo dire perseguitato. Non è chiaro da chi e quale sia la persecuzione.
L’Italia è un po’ l’isola felice per il clero pedofilo straniero, in quanto i vuoti legislativi, le ingerenze e la totale assenza dello stato, che di fatto dal 2010 non proferisce parola in materia malgrado quanto sia accaduto nel resto d’Europa, fa sì che sia un luogo sicuro per chi “perseguitato” dalle leggi all’estero, possa trovare qui sia impunità che prede facili.
Tuttavia non è la prima volta che Bergoglio interviene su un caso o lo favorisca, ricordiamo quello di Josep Wesolowski, accusato dello stupro di decine di minori dalle autorità della Repubblica Domenicana, dalla quale, con la scusa di processarlo in Vaticano (dove nessuno lo accusava), lo sottrasse agli inquirenti. 48 ore dopo Wesolowski girava libero per Roma in attesa di giudizio. Morirà all’improvviso.
Stessa sorte per Carlo Capella, sottratto alle autorità statunitensi che lo accusavano di pedopornografia e portato in Vaticano, anche lui con la scusa di un processo che ci fu, con una condanna penale a cinque anni mai scontata. Viene infatti “pizzicato” dal Washington Post niente popò di meno che alla penitenzieria del Papa, dove vendeva indulgenze.
I casi sono anche qui a decine e gli interventi del Papa evidenziano la doppia faccia della medaglia di una chiesa che da un lato grida tolleranza zero, dall’altro tollera al 100% i comportamenti maldestri di preti e vescovi. Una chiesa che ha creato sul solo territorio italiano ben 22 centri per assistere i preti pedofili. Nessuno per dare assistenza alle vittime, che oramai solo in Italia non ricevono neppure un indennizzo, tranne quando imposto dai tribunali italiani.
Il podcast ci svela complessivamente quello che è il sottobosco nelle retrovie del clero, certo poco coerente con il Motu proprio. Quanto la “via italiana” vantata dal presidente della Conferenza Episcopale Matteo Zuppi, di fatto rimasta anch’essa immobile di fronte a quanto emerge pubblicamente nel podcast, nel quale è lo stesso vescovo Rosario Gisana d ammettere: di aver insabbiato il caso, che ci siano altri casi mai denunciati nella sua diocesi – a suo dire molto più gravi che quello di don Rugolo –, del tentativo di comprare (con 25.000€ della Caritas e un accordo con il vincolo della riservatezza) il silenzio della vittima.
Ma perché di fronte alle evidenze di Enna la chiesa italiana e lo stesso Papa non intervengono applicando il Motu proprio? Una norma tanto efficace a detta del Vaticano, che avrebbe dovuto scardinare la pedofilia nel clero, punire i pedofili e i vescovi insabbiatori. Invece una bolla di sapone, che devo dire ha raggiunto l’obbiettivo illudendo con false rassicurazioni i cattolici, in fondo gli unici interessati alla tutela dei figli, in quanto gli aderenti ad altre confessioni religiose o gli atei, non corrono questo rischio.
E anche qui l’intera comunità cattolica tace genuflessa e fiduciosa, forse colta improvvisamente da un attacco di follia collettiva.
A tutto ciò si aggiunge l’omertà della stessa comunità cattolica, gli attacchi verso chi ha denunciato, che anziché essere supportato e ringraziato dalla comunità per aver impedito che possano accadere altri abusi magari ai propri figli, si ritrova invece messo letteralmente alla gogna per aver “infangato” il buon nome di quella comunità, puntualmente ricca di una miseria morale e cristiana da far impallidire.
Certo par brutto fare di tutta l’erba un fascio, ma purtroppo nel fascio, in questi casi i fili d’erba che restano fuori da questo meccanismo omertoso e autolesionista sono davvero pochi.
È sufficiente fare una piccola ricerca su internet per scoprire che a fronte dei tanti proclami, di fatto in Italia non esiste negli anni un solo caso in cui le gerarchie, un vescovo, un sacerdote o un fedele abbiano mai denunciato.
A farlo sono solo le vittime, tutte ovviamente cattoliche e anche qui sono pochissime, in quanto spesso intimidite. Vediamo nei fatti una comunità cattolica più simile ad una setta, sempre pronta a protestare e scendere in piazza per motivi ideologici, restia invece se si tratta di motivi come la salute psicofisica dei propri figli.
Questo accade perché manca quell’amor proprio di cui parlavo prima, anche verso il Dio in cui credono. I cattolici italiani in realtà non credono in Dio, ma nello Stato Pontificio e accettano tutto, anche se contrario al loro stesso credo o per loro lesivo.
Va detto che certamente la pedofilia è ovunque e i vuoti legislativi non favoriscono solo la chiesa ma la pedofilia in generale. La chiesa come abbiamo visto è un maggior problema perché non solo è frequentata quotidianamente da migliaia di minori, regalando molte più possibilità per un predatore di adescare, ma anche per il fatto che sistematicamente non denuncia. Questa per il predatore anche laico è una enorme sicurezza in quanto nella peggiore delle ipotesi verrà solo allontanato, non denunciato, ma mandato a stuprare bambini altrove.
Il detto “dove c’è un pedofilo c’è una comunità che lo protegge” non è così sbagliato. Spetta a noi tutti rompere questo meccanismo, tenuto in vita unicamente dall’indifferenza e dall’omertà.
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